Istituto degli Studi Giuridici Superiori

Direttore scientifico: Avv.Manlio Merolla

“E’ vero anche oggi che l’Ordine Forense E’ collocato così in alto che da esso uscendo mai si sale E in esso rientrando mai si discende”

“E’ vero anche oggi che l’Ordine Forense  E’ collocato così in alto che da esso uscendo mai si sale E in esso rientrando mai si discende” 

Sintesi delle Attività Forensi e socio-Giuridiche Organizzate Dall’Istituto Studi Giuridici Superiori 

 SCUOLA DI LEGGE  DIRITTO DI FAMIGLIA E MINORILE, CRIMINOLOGIA E PSICOLOGIA GIURIDICA

 E DALL’UNIONE NAZIONALE CAMERE MINORILI MULTIPROFESSIONALI

D’ITALIA

 

1989/90: Avvocati di Strada – nascita presso l’Antica Fondazione “Casa dello Scugnizzo” di Napoli; TG3 Campania Testimonia;

1992: Avvocati senza Frontiere – nascita presso l’Antica Fondazione “Casa dello Scugnizzo” di Napoli;

1994 ad oggi: Sportello di Orientamento Giuridico-Giudiziario con apertura di rete socio-legale offerto dalla Scuola di legge dell’Istituto degli Studi Giuridici Superiori;

1995: Nascita Osservatorio Regionale Permanente a tutela della Famiglia e per la Tutela dei Minori;

1996/97: Nascita Movimento Missionari Forensi;

1999: Costituzione: Istituto Studi Giuridici SuperioriScuola di legge di diritto di famiglia e per la tutela dei Minori – Centro studi e ricerche Reg. Tribunale Napoli: n.________/99 – iscritta nella DEA Associazioni di interesse Scientifico Nazionale [ cfr. sito: www.scuoladilegge.eu];

1999: Costituzione: Organo di Stampa LEX ET JUS, Reg. Tribunale Napoli 5071 del 29.9.1999 – diventato organo Ufficiale dell’Unione Camere Minorili Multiprofessionali e dell’Istituto Studi Giuridici Superiori, RIVISTA E COLLANA giuridica diretta da Manlio Merolla [cfr. testi pubblicati e sito Net Work on line: www.lexetjus.net];

1999: costituzione Prima Camera Minorile Multiprofessionale denominata: Associazione Forense di Diritto di Famiglia e per la Tutela dei Minori- Napoli;

1999/2000:Costituzione primi Sportelli Antiviolenza dell’Interassociazione, nuove Camere Minorili Multiprofessionali in ambito Regionale Campania, poi estese in ambito interregionale;

1999/2000 in poi: Istituzione l’Open Office Law e sviluppo regionale Scuola di Legge con la collaborazione dei Centri di Servizi Sociali Regione Campania, polizia di Stato e Questura di Caserta ( Corsi Criminologia), Polizia di Stato Nola; con Tribunale per i Minorenni di Napoli e con numerose Associazioni, Enti ed Aziende;

2002: Introduzione negli studi dell’Unione CMM del Teamwork Counselling Law dell’ISGS;

dal 1997 ad oggi: Corsi, Simposi, Convegni e Conferenze a vario livello ( cittadino, Regionale e Nazionale) con la partecipazione e collaborazione di insigni giuristi e magistrati;

dal 1997 ad oggi: Corsi e Giornate di Studio di Alta formazione ed Aggiornamento professionale in diritto di famiglia – diritto Minorile e scienze socio-psicologiche ed in Criminologia Familiare e Minorile con cadenza periodica, con conseguenti pubblicazioni scientifiche in materia, e con patrocini di vari Ordini professionali ( cfr. Riviste Lex et Jus) e con Docenti e Relatori di nota fama; [ cfr pagina di sintesi nel testo]:

PATROCINATORI :

PRESIDENZA  DEL TRIBUNALE  PER I MINORENNI DI NAPOLI

Associazione Italiana Magistrati Minorenni e della Famiglia

ORDINE AVVOCATI NAPOLI

ORDINE PSICOLOGI CAMPANIA

ORDINE DEGLI ASSISTENTI SOCIALI CAMPANIA  

 

 

Numerosissimi sono stati i riconoscimenti conferiti [ oltre 13 Targhe d’Onore ] ed i Gemellaggi scientifici realizzati con formali protocolli d’intesa. [ cfr pagina di sintesi nel testo].

Tutte sono documentate peraltro dalle Riviste Lex et Jus pubblicate ad oggi e nel sito www.scuoladilegge.eu.

 

Cfr anche la Collana Lex et Jus


OSSERVAZIONI PROPOSTA NORMATIVA MODIFICA ART. 24 7 Comma L. 149 / 01

OSSERVAZIONI

RELAZIONE DEL PROF. MEROLLA 13.11.08

“ le cose dette e non dette……”

 

PROPOSTA NORMATIVA

MODIFICA ART. 24  7 Comma    L.  149 / 01

 

In questo istante, dopo le toccanti e significative testimonianze e gli interventi dei primi relatori, ed aver appreso che i politici invitati a questo evento ci hanno del tutto meravigliati consegnandoci un ufficiale documento che attesta che la proposta normativa è stata formalmente registrata presso gli uffici legislativi per eventuali esami e determinazioni, sento profonde vibrazioni in questa antica struttura, che un tempo ha visto e vissuto la storia iniziale di molti bambini non riconosciuti dai genitori e consegnati alle Suore di questo Ospedale.

 

Qualche tempo fa…..QUANDO…. sono stato raggiunto da un gruppo di simpatiche signore attraverso lettere E-Mail, messaggi telefonici ed amici, e mi è stata sottoposta “L’IDEA” di valutare e strutturare in modo tecnico-giuridico una possibile proposta normativa in merito al problema in trattazione, …..sono stato tanto affascinato e compenetrato dalle emozioni che con fare spontaneo e genuino mi venivano trasmesse, che non ho esitato un solo istante nell’offrire il mio sostegno e quello di tutti i partners dell’OSSERVATORIO REGIONALE P.I. a TUTELA DELLA FAMIGLIA E PER I MINORI .

 

Nell’immediatezza il  Direttivo del Coordinamento  dell’Osservatorio ha convocato la Consulta per raccogliere le adesioni delle Associazioni ed Enti interassociati…. , e per la prima volta in sedici anni dell’Osservatorio…  in tempi record ho ricevuto una adesione comune, compatta ed estesa.

 

Come sempre….. ancora una volta la “ R E T E “ dell’Osservatorio non solo entra in azione compatta, ma si arricchisce di news entry prestigiosi e significativi che mi confermano il senso di appartenenza alla rete interassociativa, dove migliaia di partecipanti sensibili alle problematiche umane, dei nostri figli e delle famiglie del nostro tempo…. Si dimostrano pronte a raccogliere le sfide dei nostri giorni.

 

 

In sintesi:

 

LA NORMA ATTUALE DA MODIFICARE:

“La modifica richiesta riguarda il comma 7, art. 24 della Legge 149/ 01:

7. L’accesso alle informazioni non è consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato, o abbia manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo.

 

Per scelta la struttura della norma da modificare viene presentata, con qualche taglio e cucito, come presentata al sottoscritto. Va però precisato che la stessa risulta all’attualità al vaglio della Commissione Tecnica-Giuridica della Consulta Interassociativa dell’Osservatorio Famiglia e Minori della Campania, che presto redigerà il testo definitivo, con precisazioni tecniche. [ si cfr. il testo ut supra riportato].

 

Ciò stante va rilevato che l’attuale ordinamento italiano non consente, comunque, al figlio adottato e non riconosciuto alla nascita, di accedere all’identità dei propri genitori biologici, considerando prevalente l’interesse del genitore di conservare l’anonimato rispetto all’interesse del figlio di conoscerne l’identità.
Le Fonti normative a sostegno e contra sono le seguenti:
– Legge di Riforma n. 149/2001 art. 24 comma 7  – Refuso normativo legge 184/83;
– Tale preclusione non ha però, in via puramente teorica, una durata illimitata (anche se pratica nei confronti dell’adottato) in quanto l’art. 93 comma 2 del “Codice in materia di protezione dei dati personali” stabilisce che “il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, …. possono essre rilasciati in copia integrale a chi vi abbia interesse, in conformità alla legge, decorsi 100 anni dalla formazione del documento”.

Il TAR Veneto si è spinto ad affermare che il comma 7 della legge 149/2001, stabilisce in maniera inequivocabile e temporaneamente illimitata il divieto di accesso alle informazioni sulla madre…..”
gli artt. 107 e 108 del D.Lgs. n.490/99, T U. dei Beni Culturali prevedono la libera consultazione dei documenti conservati negli archivi di Stato e negli archivi storici degli enti pubblici, dichiarati di carattere riservato dopo settanta anni…..( sono compresi in questi i fascicoli personali degli adottati , dai quali si evince la loro storia, ma con l’esclusione dei dati identificativi della madre.

 

 – Secondo una sentenza del TAR Lazio del 1998 il riconoscimento normativo dell’interesse della madre all’anonimato sarebbe giustificato “non solo da esigenze di tutela della riservatezza della persona, ma anche da superiori ragioni attinenti alla salvaguardia degli interessi, giuridici e sociali, sia della famiglia legittima e dei suoi componenti sia degli stessi figli non riconosciuti”.

 

Secondo quanto stabilito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 425 del 25 novembre 2005, le norme che non ammettono la possibilità di autorizzare l’adottato ad accedere alle informazioni sulla madre biologica, nel caso in cui questa abbia espressamente dichiarato alla nascita di non volere essere nominata, sono costituzionalmente legittime.

 

Conseguentemente, non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 28, co. 7, della legge 184/1983, nel testo modificato dall’art. 177, co. 2, del Codice della Privacy.

 

 

Tale disposizione, infatti, è chiaramente finalizzata a tutelare la donna incinta che, a causa della difficile condizione personale, preferisca non tenere con sé il bambino dandole, comunque, l’opportunità di partorire in una adeguata struttura sanitaria contemporaneamente mantenendo l’anonimato nella conseguente dichiarazione di nascita.

 

E’ chiaro che la disposizione de qua mira– da un lato – a garantire che il parto avvenga nelle migliori condizioni, sia per la madre che per il figlio, e – dall’altro – ad evitare che la donna prenda irrimediabili e ben più gravi decisioni.

 

 

 

 

Le osservazioni contrarie raccolte sono:

 

DOPPIA IDENTITA’ Genitoriale….ma oggi abbiamo le famiglie allargate……

 

UN PROBLEMA TECNICO-GIURIDICO : è costituito dalle eventuali pretese di carattere successorio, che potrebbero minare le sicurezze acquisite dai legittimi eredi [ANCHE RECIPROCO ].

 

Ciò potrebbe essere superato da una eventuale rinuncia espressa preventiva o da altre soluzioni tecniche giuridiche che all’attualità sono poste all’esame della commissione giuridica dell’Istituto degli studi giuridici superiori.

 

 Giova Ricordare:

 

La Corte Costituzionale con la sentenza n.425/2005, utilizzando argomentazioni basate sul principio di effettività   afferma: poiché si vuole tutelare l’anonimato della madre per evitare che la gravidanza indesiderata si traduca in un aborto o nell’abbandono dopo un parto clandestino, la segretezza sulle generalità deve essere assoluta ed illimitata nel tempo.

 

Oggetto della sentenza della Corte costituzionale  de quo, riguarda la possibilità per la madre, dopo aver chiesto di non essere nominata al momento del parto, di revocare il proprio diniego rendendo così il diritto alla conoscenza del proprio figlio naturale liberamente esercitatile.

 

La legge non prevede espressamente questa possibilità, perciò il Tribunale per i minorenni di Firenze, che avrebbe dovuto rigettare la richiesta del ricorrente proprio perché la madre naturale aveva chiesto di non comparire nella dichiarazione di nascita, chiede alla Consulta una sentenza additiva che dichiari incostituzionale l’art. 28, l. ad., nella parte in cui esclude la possibilità di autorizzare l’adottato all’accesso alla informazioni sulle origini senza aver previamente verificato la persistenza della volontà di non voler essere nominata della madre biologica.

 

La scelta legislativa di tutelare l’anonimato della madre senza alcun tipo di restrizione è ritenuto dai giudici costituzionali «espressione di una ragionevole valutazione comparativa dei diritti inviolabili dei soggetti della vicenda e non si pone in contrasto con l’art. 2 della Costituzione» (sentenza 425 del 2005, § 4 del considerato in diritto).

 

L’anonimato garantito dal comma 7, infatti, assolve alla duplice funzione di assicurare alla madre la possibilità di partorire in una struttura ospedaliera e di distoglierla dalla scelta di abortire, perciò una limitazione temporale, ancorché eventuale e su base volontaria come quella paventata dal giudice a quo, vanificherebbe proprio gli scopi che la norma si pone.

 

La Corte europea per i diritti dell’uomo ha decretato la legittimità della legislazione francese proprio facendo leva sulla possibilità di revocare il segreto introdotta dalla legge del 22 gennaio 2002 (sentenza 13 febbraio 2003, Odievre c. Francia). La ricorrente lamentava che la possibilità del “parto anonimo” fosse in contrasto con l’art. 8 della Corte Europea Diritti dell’Uomo  (sentenza 7 febbraio 2002, Mikulic c. Croazia). La Corte, invece, ha respinto il ricorso perché la novella d’oltralpe consente «alla ricorrente di sollecitare la reversibilità del segreto dell’identità di sua madre, sotto riserva del suo consenso, in modo da contemperare equamente la protezione di quest’ultima e la richiesta legittima della ricorrente»

 

Le tecniche di bilanciamento allora, più semplicemente, mirano a stabilire se un certo valore, rispetto ad un certa fattispecie sia prevalente o recessivo rispetto ad altro valore (o principio):considerato che la situazione soggettiva in parola è un diritto disponibile, viene generalmente accolto il criterio per cui l’interessato, con il suo consenso, può rendere lecito l’utilizzo dei suoi dati personali per scopi specifici.

 

Accanto alla regola generale basata sul consenso preventivo (c.d. opt-in system) esistono fattispecie (v. art. 52 del Codice in materia di protezione dei dati personali, d. lgs. 196 del 2003) in cui il trattamento dei dati personali è astrattamente legittimo salvo il diritto potestativo dell’interessato di manifestare il proprio dissenso all’uso delle informazioni (c.d. opt-out system) che strutturalmente può ritenersi affine alla dichiarazione della madre in non essere nominata nella dichiarazione di nascita. La dottrina è unanime nel ritenere che entrambe le manifestazioni di volontà siano revocabili (G. Resta, Revoca del consenso ed interesse al trattamento nella legge sulla protezione dei dati personali, in Rivista critica di diritto privato, 2000, 313) pertanto sarebbe una scelta coerente ammettere anche per la madre naturale la possibilità di un ripensamento.

 

LA  MODIFICA NORMATIVA PROPOSTA:

 7 –  L’adottato [ FIGLIO ADOTTIVO NON RICONOSCIUTO ] avrà la possibilità di accedere a tutte le informazioni che lo riguardano comprese quelle concernenti l’iter adottivo, i dati sanitari, i periodi di permanenza in istituti o altro, con l’unica esclusione dell’identità dei genitori biologici qualora non sia stato riconosciuto alla nascita.

 

In questa ultima circostanza,

  • ·        raggiunti i venticinque anni, ( Ma nulla vieta all’età di 18 )
  • ·        sarà competenza del Tribunale,
  • ·        valutato il caso,
  • ·        informare la madre e/o il padre naturale della richiesta di accesso alle informazioni da parte dell’adottato, e  richiederne il consenso al superamento dell’anonimato. [ attraverso una mediazione “ Culturale”]

 

UTILIZZO DEL METODO E STRUMENTO OBIETTIVO:

LA MEDIAZIONE “ CULTURALE”

 

E’ quanto viene richiesto ai Giudici dei Tribunali per i Minorenni, avvalendosi dei propri esperti: i Giudici cd Onorari ( psicologi ed assistenti sociali di provata esperienza);

 

LA PROPOSTA E’ A COSTO 0

Pertanto anche in tal senso non sussistono ulteriori impedimenti.

 

 

ACCESSO DIRETTO: Nel caso che la madre risulti deceduta ed il padre deceduto o non identificabile, il Tribunale, su richiesta dell’interessato,  procederà direttamente  ad acquisire e comunicare le loro generalità, patologie e dati sanitari, cause del decesso degli stessi ed eventuali notizie relative a depositi di organi presso banche sanitarie.

 

 

 

 

 

Un primo punto di partenza sono le forti motivazioni dei nostri amici che di recente hanno voluto costituirsi associativamente  realizzando “ L’Associazione ASTRO NASCENTE “  il cui nome evoca la rinascita delle proprie radici ed un nuovo senso di ricerca;

 

Un secondo punto di partenza sono le nostre ricerche, osservazioni, i Vostri preziosi suggerimenti che attendiamo al termine dei nostri incontri e di questo convegno, ma in particolare  il nostro comune senso di solidarietà emotiva ai “ricercatori del proprio passato”, che nella ricerca delle loro radici non solo ritrovano una parte di sé stessi ma ci rendono partecipi in prima persona di un nuovo passo verso un evoluzione non solo normativa…ma culturale.

 

 

Come tutte le regole anche in questo caso rilevo una strana eccezione:

Tutti sappiamo che le Leggi sono scritte dagli uomini per gli uomini, invece osservando gli impedimenti ostativi posti da questa legge, che dovrebbe in gran parte essere oggetto di modifiche e rivisitazioni [ ex 184/83 e succ. Riforma L. 149/01] – sembra che la Legge è stata scritta per sé stessa o quanto meno con eccezionale inutilità, dal momento del limite dei 100 anni, che offende non solo le aspettative dei destinatari diretti ma l’intelligenza culturale ed emotiva di tutti noi.

 

Se oggi siamo qui c’è un motivo!

Abbiamo deciso di sostenere l’istanza ed invocazione di aiuto di chi per anni, per tutta la vita, in solitudine ed in sofferenza chiedeva ed ha chiesto …. “all’altro…a noi..”.. solo  di essere aiutato. Noi siamo qui!

E con noi tanti altri …..

 

Giova inoltre ricordare che le motivazioni morali dell’anonimato di un tempo [ il cd. Marchio dell’Infamia ], che inducevano genitori a non riconoscere i propri figli erano del tutto diverse da quelle oramai poche ed isolate dei nostri tempi.

 

 Infatti fino a 20/30 anni orsono gli standard di adozioni erano molto diversi da quelli attuali, in particolare erano caratterizzate da paure, esigenze e false culture basate sull’immagine. Per vero, per un divorzio o un figlio nato fuori matrimonio o da persona non coniugata si invocava subito allo scandalo.

 

Una responsabilità certamente era da attribuire agli organi di stampa che cercavano di creare notizia.

 

Da un esame di molti documenti giudiziari  “ storici “ infatti a conferma si ritrovano frasi del tipo: “ …comportamento immorale…pericoloso per la società…ed ai bambini non riconosciuti veniva applicato il Marchio di Illegittimi che per l’opinione comune di un tempo era corrispondente ad un marchio “ dell’infamia”;

 

QUANTO VALE OGGI NEL 2009 QUEL MARCHIO?…..

 

Occorre un pensiero positivo oggi per cancellare i neri pensieri di un tempo, NOI…ABBIAMO UNA POSITIVA PROPOSTA NORMATIVA….

 

Sento in questo momento di comunicare la mia profonda empatia per tutti i protagonisti di questo evento, perché attraverso loro e loro testimonianze siamo riusciti ad entrare nelle loro storie, evocare e recuperare sensazioni ed emozioni perdute e ritrovare il piacere di avvertire  il SENSO DI APPARTENENZA ALLE NOSTRE RADICI E FAMIGLIE…A VOLTE SMARRITA, e la voglia e il desiderio di aiutare chi invece è ancora alla ricerca  di tanto.

 

                             

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


PROPOSTA NORMATIVA: La Modifica dell’art 24 L. 149/01 – Accesso ai documenti da parte dell’adottato, per verificare se la volontà della madre sia ancora attuale o se essa esprima il consenso al superamento dell’anonimato attraverso una “revoca del diniego”, alla luce delle mutate condizioni esistenziali.

La  Modifica dell’art 24 L. 149/01;

 

Da molti anni una parte sensibile della classe forense raccolta dall’Istituto degli Studi Giuridici Superiori e dalla Unione Nazionale delle Camere Minorili Multiprofessionali d’Italia, dopo studi, ricerche, sondaggi, raccolte di firme e consensi ha redatto una significativa proposta normativa, sottoposta in modo del tutto spontaneo all’attenzione di un gruppo associativo di persone  che  vivendo in primis il bisogno di trovare le proprie origini familiari,  rappresentanti di migliaia di cittadini, figli adottivi non riconosciuti alla nascita .

 

Questi infatti a differenza dei figli riconosciuti dalla madre naturale, e successivamente adottati, ai quali l’attuale legge sull’adozione, la 149 del 2001, consente, raggiunta l’età di 25 anni, di conoscere l’identità dei propri genitori biologici, quali figli adottivi non riconosciuti alla nascita si trovano loro malgrado impediti ad accedere a tali informazioni, se non trascorsi 100 anni dalla loro nascita, secondo le disposizioni del Codice sulla Privacy.

 

 Infatti il  diritto a venire a conoscenza della nostra identità confligge con quello della donna che, al momento del parto, non acconsentì ad essere nominata.

 

 Quest’ultimo  viene ritenuto, dalla legge attuale, decisamente prevalente sull’interesse del figlio, anche adulto, a poter conoscere le proprie origini. Ciò  impedisce di far luce su una zona senza ricordi e senza storia che sta all’origine della loro vita  e del loro sviluppo, rendendoli eternamente incompleti e destinati a morire senza aver avuto piena cognizione di loroi stessi. Partendo dalla domanda fondamentale “chi sono?” l’uomo si aspetta una risposta non solo relativa al presente, ma che si riferisca anche a ciò che è stato nel passato, perché il passato non viene inghiottito nel nulla, ma resta come elemento che struttura la sua vita nell’oggi, e ne condiziona il futuro. La conoscenza delle origini contribuisce a formare l’identità entrando nell’insieme di realtà che rappresentano il punto di partenza dello sviluppo umano.

 

Tuttavia pur non volendo mettere in discussione la possibilità per la donna di partorire in anonimato, riconoscendo le valenze racchiuse in  tale istituto legislativo, viene richiesto per uscire da tale tragica condizione chiediamo soltanto che, ai figli e alla loro madri naturali, venga offerta un’ulteriore opportunità: che  la legge attuale venga modificata prevedendo che  il Tribunale dei Minori, valutata la richiesta di accesso ai documenti da parte dell’adottato, verifichi se la volontà della madre sia ancora attuale o se essa esprima il consenso al superamento dell’anonimato attraverso una “revoca del diniego”, alla luce delle mutate condizioni esistenziali.

 

In ogni caso è pur vero che, trascorsi i fatidici 100 anni, il segreto potrà essere comunque svelato ai nostri figli, che ci accompagnano nelle ricerche conoscendo l’intensità del nostro desiderio, e dunque in quel momento reso noto anche alla famiglia della defunta.

 

Una modifica della legge attuale in tal senso contribuirebbe a rimodulare il bilanciamento trai due diritti in conflitto, quello alla conoscenza delle proprie origini e quello alla riservatezza, senza che il secondo schiacci ed annulli il primo in modo assoluto, consentendo, finalmente, ai figli adottivi non riconosciuti alla nascita, di uscire da una condizione nella quale  si sentono “ombre”, senza alcuna  possibilità di replica né decisionale sulle scelte di cui sono stati fatti oggetto.

  In sintesi:

 

LA NORMA ATTUALE DA MODIFICARE

 

La modifica richiesta riguarda il comma 7, art. 24 della Legge 149/ 01:

 

7. L’accesso alle informazioni non è consentito se l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato, o abbia manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo.

 

LA  MODIFICA NORMATIVA PROPOSTA [ prima bozza] :

 

 7 –  L’adottato avrà la possibilità di accedere a tutte le informazioni che lo riguardano comprese quelle concernenti l’iter adottivo, i dati sanitari, i periodi di permanenza in istituti o altro, con l’unica esclusione dell’identità dei genitori biologici qualora non sia stato riconosciuto alla nascita.

In questa ultima circostanza, raggiunti i venticinque anni, sarà competenza del Tribunale, valutato il caso,  informare la madre e/o il padre naturale della richiesta di accesso alle informazioni da parte dell’adottato, e  richiederne il consenso al superamento dell’anonimato.

 Nel caso che la madre risulti deceduta ed il padre deceduto o non identificabile, il Tribunale, su richiesta dell’interessato,  procederà direttamente  ad acquisire e comunicare le loro generalità, patologie e dati sanitari, cause del decesso degli stessi ed eventuali notizie relative a depositi di organi presso banche sanitarie.

 

LA MODIFICA DEFINITIVA STRUTTURATA TECNICAMENTE:

 

Il 5° comma dell’art. 28 della legge n. 184, come modificato dalla legge 149/2001, è sostituito dal seguente:

 

5. L’adottato, raggiunta l’età di venticinque anni [ o 18 avendo raggiunto la maggiore età], può accedere ad ogni informazione riguardante  la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici. Gli enti e le istituzioni, pubbliche e private, sono tenute a fornire allo stesso tutte le informazioni di cui siano in possesso.

 

Il 6° comma dell’art. 28 della legge n. 184, come modificato dalla legge 149/2001, è sostituito dal seguente:

 

L’adottato, raggiunta la maggiore età, se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica, può accedere alle informazioni di cui al precedente comma 5, previa autorizzazione del Tribunale per i Minorenni. L’istanza deve essere presentata al tribunale del luogo di residenza.

 

Il 7° comma dell’art. 28 della legge n. 184, come modificato dalla legge 149/2001, è sostituito dal seguente:

 

7. Nell’ipotesi di cui al precedente comma 6, il tribunale per i minorenni procede all’audizione delle persone di cui ritenga opportuno l’ascolto; assume tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico, al fine di valutare che l’accesso alle notizie di cui al comma 5 non comporti grave turbamento all’equilibrio psico-fisico del richiedente. Definita l’istruttoria, il tribunale per i minorenni autorizza con decreto l’accesso alle notizie richieste.

 

L’ 8° comma dell’art. 28 della legge n. 184, come modificato dalla legge 149/2001, è sostituito dal seguente:

 

8. Nelle ipotesi previste dal quinto comma, ove l’adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre o anche uno solo dei genitori abbia dichiarato di non voler essere nominato, l’accesso alle informazioni è autorizzato dal Tribunale per i minorenni – all’esito di procedura identica a quella prevista dal 7° comma – qualora i genitori dell’adottato siano deceduti, risultino irreperibili, oppure, interpellati, abbiano fornito il loro consenso. In assenza di tali condizioni, il Tribunale può autorizzare unicamente l’accesso alle informazioni di carattere sanitario, ove sussistano ragioni legate alla salute psico-fisica del richiedente.

 

Dopo l’ 8° comma della legge n. 184, come modificato dalla legge 149/2001è inserito il seguente:

 

9. L’accesso alle informazioni non interferisce e non modifica il regime previsto dall’ultima alinea dell’art. 27.

 

[ A cura Commissione Tecnica-Giuridica DIPARTIMENTO ANALISI, STUDI E RICERCHE NORMATIVE DELL’ISTITUTO STUDI GIURIDICI SUPERIORI : Dr.Bruno De Filippis – Avv.Prof.Manlio Merolla ]

 

 

 

 

 

 

 


PROPOSTA NAZIONALE NORMATIVA:LA SEPARAZIONE MITE O MEDIATA;

La Separazione Mite o Mediata;

Anno 2006 – Anno 2008 In Parlamento. Raccolte di Firme in Corso. – La Stampa, Foto e Video nel Portale ( presto la pubblicazione)

[ A cura dei Ricercatori dell’Istituto Studi Giuridici Superiori del prof.Merolla]

 

Da molti anni una parte sensibile della classe forense raccolta dall’Istituto degli Studi Giuridici Superiori e dalla Unione Nazionale delle  Camere Minorili Multiprofessionali d’Italia dopo  studi, ricerche, sondaggi, raccolte di firme e consensi ha redatto una significativa proposta normativa che potrebbe incidere profondamente sia nella struttura giudiziaria e nel tessuto sociale del nostro paese, dal momento che propone   con una soluzione rivoluzionaria in campo socio-giuridico, sostituendo la fase presidenziale nelle separazioni e divorzi con una fase tecnica-amministrativa, a costo zero, con l’entrata in gioco di una commissione multi professionale .

 

A tal riguardo, l’Istituto degli Studi Giuridici Superiori e  l’Unione Nazionale Camere Minorili Multiprofessionali della Campania, dopo aver coinvolto e resi partecipi alla diffusione della presente proposta numerose Associazioni NON FORENSI, collegate alla Associazione Nazionale dei Papà Separati e molte ad esse vicine e/o lontane con scopi similari, con il sostegno di molti Ordini professionali ed Associazioni ha presentato la proposta che viene integralmente riportata di seguito all’attenzione del Legislatore.

 

All’attualità si auspica nella sua approvazione che risulta sostenuta da molte compagini politiche.

 

Un grande merito va peraltro attribuito al fondatore ideologico della presente legge: l’avv. prof. Manlio Merolla, il quale dopo aver redatto la prima bozza, ricamata e ricucita in mesi di lavoro, ricerche e studi dai ricercatori della Consulta sopra citata, dopo costituito uno Staff tecnico giuridico con insigni giuristi ed esperti psicologi, mediatori ed esperti di varie discipline, ha rappresentato ed ufficializzato in molte parte d’Italia, in modo diretto ed indiretto, attraverso Convegni, Conferenze e Simposi la proposta di legge.

 

Tra  gli esperti dello Staff scientifico si annoverano: il Giudice dr.Bruno De Filippis [ Corte di Appello di Salerno] tra i maggiori esperti in Italia nella materia ed autore di molteplici pubblicazioni, il Giudice Aggiunto di Cassazione dr. Filippo Ferrucci, che ha indirizzato inizialmente la Commissione de quo coordinando le prime fasi organizzative, il Giudice Dr. Giovanni D’Onofrio [Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ] che ha rappresentato una forte guida testimoniale ed esperienziale nell’indicazione delle linee guida della proposta

 

Inoltre vanno ricordati tra gli esperti dell’area Socio-psicologica: la Dr.ssa Rossi Concetta [ Giudice onorario TpM Napoli e psicologa presso l’ASL CE1 – psicologia giuridica ] il dr. Vito Alberto [ Giudice onorario TpM Napoli e psichiatra presso l’Ospedale Cotugno di Napoli] il Dr. Federico Mantile [ Giudice onorario TpM Napoli e psichiatra e psicoterapeuta infantile presso l’ASL NA] che hanno e stanno lavorando alla redazione delle LINEE GUIDA PER L’AUDIZIONE DEI MINORI IN AMBITO CIVILISTICO, rilevati i danni devastanti spesso prodotti in seguito ad audizioni “ improprie” ed improvvisate proprio nelle pendenze di giudizi separativi.

 

Vanno inoltre ricordati l’Ing. Fisico J. Rotoli che ha elaborato un programma informatico per il calcolo matematico dell’assegno di mantenimento sulla base di un redditometro.

 

Ed ancora il Dr. Giovanni D’Angelo, Presidente dell’Associazione con sede nel territorio Casertano : “ CIAO PAPA’ “ ed il Dr. Alessandro Ciardiello Presidente dell’Associazione Nazionale dei Papà separati, che hanno contribuito con grande entusiasmo e passione ad ogni incontro tecnico, sostenendo con contributi testimoniali e socio-scientifici ogni attività posta in essere, coinvolgendo i loro iscritti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In sintesi, ecco la proposta:

 

LA SEPARAZIONE MITE / MEDIATA

 

ART. 1

Nel capo I del Titolo II del libro quarto del codice di procedura civile, prima dell’art. 706, è inserito il seguente art. 705 bis:

“Il coniuge che intende presentare una domanda di separazione personale contenziosa ha l’onere di convocare, con ogni mezzo idoneo, il partner presso un Centro di Mediazione Familiare autorizzato, per un colloquio con personale specializzato, nel corso del quale entrambi vengono informati dei contenuti e della procedura della separazione, nonché delle opportunità fornite dai servizi di mediazione, per la ricerca di una soluzione concordata, lo svolgimento di un tentativo di conciliazione o la realizzazione di forme di terapia familiare.

Il colloquio deve comprendere informazioni di carattere giuridico e psicologico in ordine alla tutela del minore, all’identificazione dell’interesse dello stesso, alle conseguenze della separazione ed ai comportamenti genitoriali più idonei.  Il giudice potrà eventualmente desumere, dalla mancata e non giustificata partecipazione al colloquio, in analogia a quanto previsto dall’art. 116, secondo comma c.p.c., elementi in ordine alla responsabilità della crisi familiare, nonché valutazioni per la definizione delle spese di causa che eventualmente poi si instauri. All’esito del colloquio, ove le parti non intendano concordemente intraprendere una delle vie indicate, come nel caso in cui successivamente (entrambe o anche una sola) decidano di recedere da esse o infine allorché il percorso si concluda negativamente, il Centro rilascia un attestato, dal quale risulta lo svolgimento del colloquio o il mancato svolgimento del medesimo, per omessa presentazione di uno dei coniugi, con allegata, in quest’ultimo caso, la documentazione relativa all’effettuazione della convocazione.

L’attestato deve essere obbligatoriamente allegato alla domanda di separazione personale proposta ai sensi del successivo art. 706. Ove le parti abbiano svolto, dopo il colloquio preliminare, una o più sedute volontarie presso il Centro,  possono chiedere che dello svolgimento di esse sia dato atto nell’attestato.

L’attestato, sempre a richiesta di parte, può indicare l’eventuale desistenza unilaterale di un coniuge dal partecipare alla prosecuzione degli incontri, ma non può contenere alcuna altra indicazione in ordine allo svolgimento dei colloqui, né alcuna informazione in ordine al contenuto di essi.

Gli operatori del Centro non possono essere ascoltati come testimoni nel giudizio di separazione personale o successivo divorzio che debba successivamente essere instaurato tra le parti, per fatti avvenuti nel corso dell’incontro informativo o dei successivi incontri volontari. Si applicano le disposizioni sul segreto professionale, di cui all’art. 200 c.p.p.. Ove le parti raggiungano, con l’ausilio del Centro, un accordo per la separazione consensuale, possono chiedere che il Centro trasmetta lo stesso al Tribunale, per la procedura relativa all’omologazione, che comprenderà comunque la conferma personale delle parti, dinanzi al presidente del tribunale o giudice delegato, delle condizioni concordate”.

Art. 2

Il primo comma dell’art. 706 c.p.c. è sostituito dal seguente:

“La domanda di separazione personale si propone al tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi, ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio, con ricorso avente il contenuto di cui all’art. 163, terzo comma, c.p.c.. Il ricorrente è tenuto ad allegare copia delle tre ultime dichiarazioni dei redditi, nonché ad indicare l’esistenza di figli legittimi, legittimati o adottati dalla coppia durante il matrimonio”.

 

Il terzo comma dell’art. 706 c.p.c, è sostituito dal seguente:

“Il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito in cancelleria, designa il giudice istruttore e fissa con decreto la data dell’udienza di comparizione dei coniugi dinanzi al medesimo. L’udienza deve essere tenuta entro novanta giorni dal deposito del ricorso. Il presidente assegna al ricorrente un termine per la notificazione di ricorso e decreto, con il rispetto dei termini previsti dall’art. 163-bis, ridotti alla metà.  Il convenuto deve costituirsi almeno cinque giorni prima della data fissata per l’udienza”.

Il quarto comma dell’art. 706 c.p.c. è abrogato.

 

Art. 3

Gli artt. 707. 708 e 709 c.p.c. sono abrogati.

 

Art. 4

Il primo comma dell’art. 709 bis è sostituito dal seguente: “Le parti devono comparire personalmente dinanzi al giudice istruttore con l’assistenza del difensore.

Il giudice istruttore procede agli adempimenti previsti dai commi uno e due dell’art. 183.

 

Se nessuna delle parti è comparsa, il giudice procede a norma dell’art. 181, primo comma. Se entrambe le parti sono presenti, il giudice le interroga, prima separatamente e poi congiuntamente.  Se ritiene immediatamente opportuna l’audizione dei figli minori capaci di discernimento, dispone la stessa, con ogni opportuna cautela, ricorrendo, se del caso, a forme di ascolto protetto.

 

Egli provvede comunque ad assicurare che, nel corso del giudizio, i minori capaci di discernimento siano ascoltati.

 

Ove serie ragioni non consentano l’effettuazione dell’audizione, il giudice provvede a che venga comunque acquisita, in modo univoco, con prove indirette o ogni altro mezzo idoneo, l’opinione degli stessi in relazione alle loro istanze ed esigenze.  Analogamente egli provvede ad acquisire, in caso di minori non capaci di discernimento, ogni utile informazione in ordine al medesimo oggetto.

 

All’esito dell’interrogatorio delle parti e dell’eventuale audizione dei figli, il giudice istruttore dà con ordinanza i provvedimenti temporanei ed urgenti che ritiene opportuni nell’interesse della prole e dei coniugi stessi.  Se è presente una sola parte, si applica il secondo comma dell’art. 181. In ogni caso il giudice può, a richiesta della parte presente o d’ufficio, nell’interesse della prole, dettare ugualmente i provvedimenti urgenti. Si applicano i commi 5, 6 e 7 dell’art. 183.

 

Contro  i  provvedimenti  temporanei ed urgenti si può proporre reclamo  con  ricorso alla Corte d’appello che si pronuncia in camera di  consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento.”

 

Il giudice istruttore, in qualunque momento prima della spedizione della causa a sentenza, può sospendere il procedimento, ove le parti concordemente chiedano di rivolgersi ad un Centro di Mediazione Familiare, per lo svolgimento di un tentativo di conciliazione o per seguire un percorso di mediazione.

In caso di sospensione, si applicano le disposizioni degli artt. 297 e 298 c.p.c..

La sospensione può avere una durata superiore a quella prevista dall’art. 296 c.p.c. e può essere ulteriormente prorogata, in presenza di valide ragioni.

 

Art. 5

 

Dopo l’art. 709 ter del codice di procedura civile è inserito il seguente: Art. 709 quater: Nei giudizi di separazione personale, in presenza di prole minore, il giudice istruttore ha facoltà di chiedere l’intervento dei servizi sociali territoriali e di valersi della consulenza di psicologi o esperti operanti presso le A.S.L. e gli enti pubblici territoriali.

 

Art. 6

 

I primi tre commi dell’art. 711 c.p.c. sono sostituiti dal seguente:  “Il ricorso per la separazione consensuale si propone al tribunale competente secondo i criteri indicati dall’art. 706.

Esso può essere proposto congiuntamente dai coniugi o anche da uno solo di essi. In tal caso si applicano, per quanto riguarda la fissazione dell’udienza e la notificazione, le disposizioni previste dal terzo comma dell’art. 706.  Nel ricorso deve essere indicata l’esistenza di figli legittimi, legittimati o adottati da entrambi i coniugi durante il matrimonio.

Al ricorso deve essere allegata attestazione relativa all’avvenuto svolgimento di un colloquio presso un Centro di Mediazione Familiare autorizzato, ai sensi dell’art. 705 bis, con particolare riguardo al compimento di un tentativo di conciliazione, alla prestazione di informazioni in ordine ai contenuti ed alla procedura della separazione ed alla tutela del minore.

In mancanza dell’attestato, deve essere presentata autodichiarazione di uno o entrambi i coniugi, in ordine alle ragioni della mancata effettuazione del colloquio, le quali saranno oggetto di valutazione da parte del giudice, sotto il profilo dell’avvenuta tutela delle ragioni della prole minorenne, ai sensi dell’art. 158, secondo comma, codice civile.”

 

Art. 7

 

Le disposizioni della presente legge si applicano anche ai procedimenti in materia di scioglimento del matrimonio e cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Ogni disposizione incompatibile è abrogata. Anche le coppie di fatto possono ricorrere alla procedura prevista dall’art. 705 bis ed il Tribunale per i Minorenni è tenuto a prenderne atto.

 

Art. 8

 

Le parti ammesse al gratuito patrocinio nel successivo giudizio di separazione, possono chiedere l’inclusione nelle spese di causa delle somme versate per l’intervento del Centro di Mediazione, secondo un tariffario disposto ed annualmente aggiornato dal Ministero per la Famiglia. 

 

Art. 9

 

La presente legge entra in vigore sei mesi dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Dalla data della pubblicazione, entro il termine di novanta giorni, i Centri di mediazione familiare in possesso delle caratteristiche di seguito indicate, possono presentare domanda per l’inclusione nell’elenco formato e tenuto presso ciascuna Corte d’Appello, per iniziativa del presidente della stessa.  Entro i successivi sessanta giorni, il presidente della Corte dispone la formazione e la pubblicazione dell’elenco.

 

Per l’inclusione nello stesso è necessario che i Centri:

Abbiano un’adeguata struttura contrattuale o societaria, idonea a garantire l’assolvimento di ogni adempimento amministrativo e fiscale;

godano di sede e strumenti adeguati ed idonei per lo svolgimento degli incontri tra i coniugi;

dispongano di equipe specializzate, nelle quali siano quanto meno presenti: un avvocato specializzato in diritto di famiglia, due psicologi, di cui uno esperto di psicologia minorile, un numero congruo di mediatori familiari, formatisi presso scuole autorizzate o riconosciute, uno psichiatra e/o psichiatra infantile, ed un mediatore interculturale;

dichiarino di accettare ed adottare i tariffari per le prestazioni, redatti ed aggiornati annualmente dal Ministero per la Famiglia.

Tali elementi, al momento della costituzione degli elenchi, devono essere autocertificati dal responsabile del Centro. Il successivo controllo è demandato al Ministero per la Famiglia. In caso di fase dichiarazioni, si applicano le sanzioni previste dal codice penale, nonché possono essere comminate, dal Ministro, sanzioni amministrative da un minimo di mille ad un massimo di duecentomila euro. 

Entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, il Ministero della Famiglia emana “Linee Guida per l’audizione del minore infra ed ultradodicenne”, curandone il successivo aggiornamento tecnico. Di esse, il giudice tiene conto nel procedere all’audizione del minore.

 

ALLEGATI:   1. LINEE GUIDA: AUDIZIONE MINORI IN SEDE GIUDIZIARIA CIVILE     –  2.  REDDITOMETRO;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


PROPOSTA NORMATIVA :DIVIETO DI VENDITA DELLE ARMI GIOCATTOLO

PROPOSTA NORMATIVA :

DIVIETO DI VENDITA DELLE ARMI GIOCATTOLO

AI MINORI DI ANNI 18

 

 

Una raccolta di firme nelle scuole, palestre, nelle Agenzie Sociali ed ovunque verrà offerta ospitalità, destinata ad una SIGNIFICATIVA PROPOSTA NORMATIVA, inizialmente a carattere Regionale per poi espandersi a livello nazionale che da anni è stata oggetto di Studi e Ricerche dell’ISTITUTO DEGLI STUDI GIURIDICI SUPERIORI DI NAPOLI in collaborazione con molteplici Associazioni e Camere Minorili della Campania: DIVIETO DI VENDITA DI ARMI GIOCATTOLO AI MINORI DI ANNI 18.

 

Ancora più significativa  si presenta la detta proposta normativa dal momento che la stessa viene lanciata nel mentre si registrano aumenti statistici di violenze minorili e dell’ingresso di leggi permissive sulla legittima difesa personale allargata.

 


PROPOSTA NORMATIVA: Divieto delle Armi giocattoli ai minori;

Divieto delle Armi giocattoli ai minori;

       

              La proposta de qua ISTAT – RICERCHE STATISTICHE è stata Pubblicata nel numero   2/06 Lex et Jus ed integralmente si riporta:

           

I GIOCHI DEI NOSTRI FIGLI

Pubblicato sulla Rivista Lex et Jus

A cura dell’Ufficio Ricerche e Studi Statistici dell’Istituto degli Studi Giuridici Superiori

Direttore: Avv.Prof.Manlio Merolla

 

Forse oltre 30 anni orsono  nessuno avrebbe mai pensato quanto è emerso dalle risultanze statistiche dell’ufficio ISTAT.

 

Infatti pur se in epoca diversa i giochi in gran parte dei bambini del nostro tempo restano quelli di sempre: trenini, costruzioni, bambole bici e calcio, anche se restano presenti giochi elettronici e vengono registrati usi frequenti di telefonini .

 

Dati positivi quindi, che rassicurano educatori e genitori, che sembrano aver acquisito nuove modalità educative ed hanno rafforzato le cd misure preventive di sicurezza partecipando più attivamente ai giochi con i figli, promuovendo i giochi di movimento (sportivi) e controllando e codificando il “ carico” di film e cartoni propinati dalla Televisione, che per molti costituisce un “modus di parcheggio ipnotico” dei propri figli.

 

Una sintesi di alta tecnologia e di antiche tradizioni ludiche, probabilmente dovuta da una maggiore presenza partecipativa dei padri, sostenuti dalle normative recenti sui congedi parentali, preoccupati dalle campagne di sensibilizzazione promosse dalle nuove politiche familiari.

 

 Questa in sintesi il risultato dell’indagine presentata alla Conferenza Nazionale sull’Infanzia il 21 novembre 2005: “ Aspetti della vita quotidiana” svolta a gennaio 2005 su un campione di 24 mila famiglie, che risulta in linea con l’indagine effettuata dall’Ufficio Ricerche statistiche dell’Istituto degli Studi Giuridici Superiori su un campione più ridotto in Campania.

 

Ecco le risultanze più significative:

 

AUMENTO DAL 36,3 al 43,4% in dieci anni : DELLE FAMIGLIE NELLE QUALI ENTRAMBI I  GENITORI SONO OCCUPATI;

 

AUMENTO IN DIECI ANNI:                               

DEI BAMBINI CON UN FRATELLO [52,9%];

 

AUMENTO IN DIECI ANNI DEI FIGLI CHE

VIVONO CON UN SOLO GENITORE SEPARATO O DIVORZIATO:          dal 6% all’8,6%;

 

I NONNI NELL’80% DEI CASI ACCUDISCONO I NIPOTINI

 

ALTRI PARENTI SEGUONO AL 7,3%

 

TRA I 3 ed I 5 ANNI:

 

LE FIGLIE FEMMINE PREFERISCONO:   

                                             

Preferiscono giocare con:bambole, disegnare, pupazzi, costruzioni .

 

I FIGLI MASCHI PREFERISCONO:

 

Preferiscono automobiline, trenini,disegnare,                                                 costruire, il gioco del  pallone

    

Per entrambi i sessi ascoltano fiabe e storie dalla voce della mamma, o musica e cantano.

Con il Padre invece si registrano partecipazioni a cinema, musei e spettacoli sportivi.

 

 

TRA I 6 ai 10 ANNI

MASCHI:

 

PC e Videogiochi  nonché la raccolta di figurine degli eroi moderni. Preferiscono gioco del Calcio,     

 

FEMMINE:

 

DANZA, BALLO, Preferiscono giochi di movimento, in coda PC

 

TRA I 14 ai 17 ANNI

 

Entrambi i sessi leggono di più libri;

il 90% possiede un cellulare

il 79,7% usa il PC

 

IN NUMERI

 

56,2 % DEI MASCHIETTI PREFERISCE FARE GIOCHI DI MOVIMENTO O SPORTIVI CON IL PADRE

45 %    DELLE FEMMINUCCE PREFERISCE IL PADRE PER I GIOCHI DI MOVIMENTO O SPORTIVI

24,5%  DELLE FEMMINUCCE PREFERISCE LA MADRE PER I GIOCHI DI RUOLO;

66,3%  DELLE FEMMINUCCE PREFERISCE LA MADRE PER DISEGNARE;

80,4%  DEI BAMBINI DAI 3 ai 5 ANNI SI SENTE LEGGERE DALLA MADRE FIABE E STORIE

50%     FINO A 10 ANNI;

64,4%  DEI FIGLI DESIDERA DISEGNARE, CANTARE, BALLARE, ASCOLTARE LA MUSICA , PREFERENDO   LA MADRE AL PADRE;


PROPOSTA NORMATIVA: La Pre-Sentenza;

La Pre – sentenza;

 

La suddetta proposta pervenne in Istituto dall’avv. Claudio Fresca del Foro di Napoli nel 2003, sostenuta dall’On.Le Avv. VM Siniscalchi e condivisa da una grande parte del’avvocatura e pubblicata sul numero 07/03 della Rivista Lex et Jus con richiesta di modifica degli articolo 277 e 429 Cpc;

Per maggiori informazioni  consultare lex et Jus 7/03

 


La Sindrome del Burn- Out Forense: Studi, Ricerche e Proposte

La Sindrome del Burn- Out Forense

Dr. ssa Maria Rosaria Angerosa  e  Dr. ssa Paola Liguoro

Coordinamento e Supervisione Prof. Manlio Merolla

 

e recenti contributi organizzativi del Top Staff dei Ricercatori

dell’ Osservatorio  Permanente Famiglia e Minori e della Associazione A.P.A. nella raccolta statistica aggiornata

      Dr.ssa Cristina Pizzi – Dr.ssa Grazia Graziano – Dr.ssa Filomena Carotenuto

[Camera Minorile M.di Santa Maria Capua Vetere –  exAss.Forense Famiglia e Minori Napoli oggi Camera Minorile Multiprofessionale Napoli-  Camera Minorile M. Irpinia – Istituto Studi Giuridici Superiori ]

 

Il termine burn-out che in italiano può essere tradotto come “bruciato”, “scoppiato”, “esaurito”, ha fatto la sua prima apparizione nel gergo del mondo dello sport nel 1930 per indicare l’incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, ad ottenere ulteriori risultati e/o mantenere quelli acquisiti.

Lo stesso termine  è stato riproposto in ambito socio-sanitario  per la prima volta nel 1975 dalla psichiatra americana C. Maslach la quale, nel corso di un convegno, utilizzò questo termine per definire una sindrome i cui sintomi testimoniano l’evenienza di una patologia comportamentale a carico di tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale.

Dal 1997 alcuni studi multidisciplinari condotti dall’avv. prof. Manlio Merolla, con numerose equipe di esperti di numerose associazioni forensi e scientifiche hanno ricondotto questa sindrome anche in ambito socio-forense, dimostrando che alcune professioni c.d.“di aiuto” [Avvocati,assistenti sociali e magistrati], spesso accusano i sintomi ed i malesseri da stress lavorativo specifico delle helping professions.

Come si Caratterizza in Genere e nel Mondo Forense
Le cosiddette “helping professions”, sono quelle professioni d’aiuto che contengono implicitamente nel loro mandato una finalità di aiuto, basata sul contatto interumano e che fanno leva sulle capacità personali spesso in misura più consistente rispetto alle abilità tecnico- professionali.

 

Queste figure sono caricate da una duplice fonte di stress: il loro stress personale e quello della persona aiutata o della collettività che rappresentano.

Ne consegue che, se non opportunamente trattati, questi soggetti cominciano a sviluppare un lento processo di “logoramento” o “decadenza” psicofisica, dovuta alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato.

Secondo l’attuale terminologia queste professioni sono “high-touch” (ad alto contatto), cioè implicano un costante contatto con la sofferenza, in cui il contatto emotivo può essere tanto forte da rivelarsi, ad un certo punto, insostenibile.

Infatti, la dedizione che tali professioni richiedono, la lunghe giornate lavorative e l’eccessivo carico di lavoro, così come la mole di emozioni negative ed intense che ad esso si accompagnano, sono fortemente spossanti.

Proprio tali condizioni di lavoro, se non sussistono le adeguate misure di prevenzione”, portano inevitabilmente alla “fusione “, al “burn-out” dell’operatore La definizione che la Maslach fornisce del burn-out è di “sindrome caratterizzata da esaurimento emozionale, depersonalizzazione e riduzione delle capacità personali”.

Le cause generiche del fenomeno più frequenti sono: il lavoro in strutture mal gestite, la scarsa o inadeguata retribuzione, l’organizzazione del lavoro disfunzionale o patologica, lo svolgimento di mansioni frustranti  o inadeguate alle proprie aspettative oltre all’insufficiente autonomia decisionale e a sovraccarichi di lavoro [ in quest’ultima ipotesi si sono registrati numerosi casi nell’attività posta in essere da avvocati e giudici ed assistenti sociali].
Il termine “stress” che significa “sforzo, tensione, sollecitazione”, fu adottato da Seyle per descrivere una sindrome (“sindrome da stress”), che è la risposta “aspecifica” dell’organismo a tutto ciò che lo costringe ad uno sforzo di adattamento.

Gli stressors possono essere di varia natura: fisici, chimici, biologici, psico-sociali

Uno stimolo può essere valutato come potenzialmente minaccioso e determinare un’azione emozionale da stress per diversi motivi:

–  perché troppo intenso (quantitativamente eccessivo);

–  perché insolito (qualitativamente abnorme);

–  perché agisce per troppo tempo (temporalmente esorbitante).

Quando lo stimolo si dimostra soverchiante rispetto alle capacità di risposta adattiva, esso diventa talmente nocivo da provocare manifestazioni morbose.

Simile allo stress, ma specificatamente legato all’ambito lavorativo è il fenomeno del burn-out.

 

 

 

In cosa differiscono stress e burn-out?

 

Walsh afferma che “concettualmente lo stress è il genere e il burn-out la specie – una particolare forma di risposta a certe condizioni di stress”.

Il burn-out è il risultato dello stress, di quel tipo di stress che fa sentire le persone senza via d’uscita.

 

La sindrome si caratterizza per una condizione di nervosismo, irrequietezza, apatia, indifferenza, cinismo, ostilità degli operatori giuridici, sia fra loro sia verso terzi, che però  si distingue dallo stress,  eventuale  concausa del burn-out così come si distingue dalle varie forme di nevrosi, in quanto non disturbo della personalità ma del ruolo lavorativo.

Queste manifestazioni psicologiche e comportamentali possono essere raggruppate, come dalla precedente definizione della Maslach, in tre categorie di disturbi: l’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e la ridotta realizzazione personale.

L’esaurimento emotivo consiste nel sentimento di essere emotivamente svuotato e annullato dal proprio lavoro, per effetto di un inaridimento emotivo nel rapporto con gli altri.

La depersonalizzazione si manifesta come un atteggiamento di allontanamento e di rifiuto (risposte comportamentali negative e sgarbate) nei confronti di coloro che richiedono o ricevono la prestazione professionale, il servizio o la cura.

La ridotta realizzazione personale riguarda la percezione della propria inadeguatezza al lavoro, la caduta dell’autostima e la sensazione di insuccesso nel proprio lavoro.

Nello specifico secondo gli studi condotti dal Merolla e la sua equipe in questi anni  sussisterebbe una quarta categoria ben definita di burn-out attribuibile ad alcuni professionisti della classe forense [ Giudici ed Avvocati] denominata:

super caricamento emotivo”, inteso in particolare come sentimento  di far proprio i numerosi cumuli di inaridimenti emotivi dei propri assistiti, in forza delle loro esperienze negative  confidate, con l’inconsapevole scopo di offrire positività utili a gestire e superare alcuni delicati e difficili momenti della vita.    

 

 

 

 

 

I SINTOMI

Il soggetto colpito da burn-out manifesta sintomi aspecifici (irrequietezza, senso di stanchezza ed esaurimento, apatia, nervosismo, insonnia), sintomi somatici con insorgenza di vere e proprie patologie (ulcere, cefalee, aumento o diminuzione ponderale, disturbi cardiovascolari, difficoltà sessuali ecc.), sintomi psicologici (depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, rabbia,  risentimento, irritabilità, aggressività, alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, indifferenza, negativismo, isolamento, sensazione di immobilismo, sospetto e paranoia, rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento, difficoltà nelle relazioni con gli utenti, cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti degli utenti e critico nei confronti dei colleghi).

 

Tale situazione di disagio molto spesso induce il soggetto ad abuso di alcool, di psicofarmaci o fumo, o nei casi studiati in ambito forense in un farsi eccessivo carico di lavoro senza limiti di tempo con lo scopo specifico, più delle volte complesso quanto difficile di trovare una soluzione al caso in esame .
Per vero, in particolare dagli studi posti in essere si rileva una componente  multifattoriale nella determinazione del fenomeno, infatti    concorrono: numerose variabili individuali, fattori socio-ambientali e lavorativi.


Per l’insorgenza del burn out possono avere importanza fattori socio-organizzativi quali le aspettative connesse al ruolo e funzioni assunte, le relazioni interpersonali, le caratteristiche dell’ambiente di lavoro, l’organizzazione stessa del lavoro.

Per questo motivo nei corsi di Alta Formazione ed Aggiornamento professionale organizzati da prestigiose scuole forensi, come in quella in cui sono state condotte le prime ricerche in materia [ cfr Scuola di Legge dell’Istituto degli Studio Giuridici Superiori] sono previste lezioni relative a:  RAPPORTO CLIENTE/AVVOCATO; ORGANIZZAZIONE , ANALISI E MARKETING MANAGER DELLO STUDIO LEGALE; MANAGEMENT E GESTIONE DELLE RISORSE NELLO STUDIO LEGALE MULTIPROFESSIONALE D.F.M.; TOTAL QUALITY MANAGEMENT -TQM; BUSINESS PROCESS IMPROVEMENT – B.P.I.; ORGANIZZAZIONE METODOLOGICA DELLO STUDIO DEI CASI GIUDIZIARI; TIPOLOGIE DELLE CONSULTAZIONI LEGALI – TECNICHE E STRATEGIE DEL “reframing” CONSULTIVO; LA CONSULENZA LEGALE STRUTTURATA NELLE SEPARAZIONI CONSENSUALI;
Inoltre sono state studiate le relazioni tra variabili anagrafiche (sesso, età, stato civile) e insorgenza del burn-out.

Tra queste l’età è quella che ha dato luogo a maggiori discussioni tra i diversi autori che si sono occupati dell’argomento. Alcuni sostengono che l’età avanzata costituisca uno dei principali fattori di rischio di burn-out mentre altri ritengono invece che i sintomi di burnout sono più frequenti nei giovani, le cui aspettative sono deluse e stroncate dalla rigidezza delle organizzazioni lavorative. 

 

In ambito forense secondo gli studi ed interviste raccolte dallo staff del prof. Merolla è emersa una realtà differenziata, in quanto tra i giovani si rileva una forte frustrazione dovuta anche per motivi economici unitamente ad una scarsa preparazione pratica ad affrontare adeguatamente delle problematiche, in particolare in ambito socio-legale, in quanto una volta usciti dal mondo universitario la cd pratica in molti studi legali si manifesta molto complessa e difficile relegata a formali adempimenti di rito e ripetizioni teoriche, che comporta necessariamente tempi più lunghi per realizzare una media e serena stabilizzazione .

 

Mentre per i professionisti affermati i sintomi di burn out sono più delle volte dovuti dal peso delle responsabilità gestionali del lavoro più complesso e difficile e dalla conduzione economica degli studi, che unitamente alle sofferenze emotive raccolte nei consulti professionali,  accusano gli effetti di quella miscela esplosiva emotiva, che spesso si sfoga in ambito familiare, nei rapporti coniugali e sulla propria sfera emozionale, che attraverso l’aumento ed assunzione di lavoro ci si illude di trovare sicurezze alle proprie ansie e sfogo alle paure proprie e dei propri clienti.

 

Dal punto di vista clinico e psicopatologico la sindrome del burn-out va differenziata dalla già nota sindrome da disadattamento: sociale, lavorativo, familiare, relazionale. La sua originalità è rappresentata dal fatto che essa si verifica all’interno del mondo emozionale della persona ed è spesso scatenata da una vicenda esterna. La sindrome del burn-out potrebbe essere paragonata ad una sorta di virus dell’anima, perché sottile, invisibile, penetrante, continua, ingravescente. Se non si interviene determina l’exitus volitivo ed energetico, non solo lavorativo, della persona.

L’insorgenza della sindrome negli operatori delle helping professions segue generalmente quattro fasi:

la prima fase (entusiasmo idealistico) è caratterizzata dalle motivazioni che hanno indotto gli operatori [ professionisti in genere] a scegliere un lavoro di tipo assistenziale [ diritto di famiglia, diritto minorile, diritto del lavoro], ovvero motivazioni consapevoli (migliorare il mondo e se stessi, sicurezza di impiego, svolgere un lavoro meno manuale e di maggior prestigio) e motivazioni inconsce (desiderio di approfondire la conoscenza di sé e di esercitare una forma di potere o di controllo sugli altri); tali motivazioni sono spesso accompagnate da aspettative di “onnipotenza”, di soluzioni semplici, di successo generalizzato e immediato, di apprezzamento, di miglioramento del proprio status e altre ancora.

 

C’è in tutto questo quasi una difficoltà a leggere  in modo adeguato il dato di “realtà”: infatti, esiste una logica secondo la quale il venire a capo di una situazione difficile non dipende dalla natura della situazione, ma essenzialmente dalle proprie capacità e dai propri sforzi; se dunque il problema non viene risolto, ciò sta a significare che non si è stati all’altezza…

 

Nella seconda fase (stagnazione) l’operatore-professionista continua a lavorare ma si accorge che il lavoro non soddisfa del tutto i suoi bisogni. I risultati del forte impegno iniziale sono via via sempre più inconsistenti. Si passa così da un superinvestimento iniziale a un graduale disimpegno dove il sentimento di profonda delusione avanza determinando nell’operatore una chiusura verso l’ambiente di lavoro ed i colleghi.

 

La fase più critica del burn-out è la terza (frustrazione). Il pensiero dominante dell’operatore è di non essere più in grado di aiutare nessuno, con profonda sensazione di inutilità e di non rispondenza del servizio ai reali bisogni dell’utenza. Il vissuto dell’operatore è un vissuto di perdita, di svuotamento, di crisi di emozioni creative e di valori considerati fondamentali fino a quel momento. Come fattori di frustrazione aggiuntivi intervengono lo scarso apprezzamento sia da parte dei colleghi o dominus degli studi sia da parte degli utenti-clienti, nonché la convinzione di una inadeguata formazione per il tipo di lavoro svolto. Il soggetto frustrato può assumere atteggiamenti aggressivi (verso se stesso o verso gli altri) e spesso mette in atto comportamenti di fuga (quali allontanamenti ingiustificati dal reparto, pause prolungate, frequenti assenze per malattia).

 

Il graduale disimpegno emozionale conseguente alla frustrazione, con passaggio dalla empatia all’apatia, costituisce la quarta fase, durante la quale spesso si assiste a una vera e propria morte professionale. E’ tuttavia evidente che ognuno può attingere a risorse interne quali l’intelligenza emotiva e la creatività, che consentono di gestire al meglio le difficoltà quotidiane . La creatività, infatti, può fornirci nuovi spunti per reagire ad un periodo difficile e ad intensi ritmi di lavoro. Molti studi evidenziano, inoltre, come un atteggiamento positivo nei confronti della vita ed un sano ottimismo possano favorire un giusto atteggiamento con il quale affrontare i problemi che emergono nell’ambiente di lavoro”.

 

LAVORO O MISSIONE

Questo progressivo susseguirsi di fasi da un livello molto alto di motivazione ed aspettative ad un livello di demotivazione e di vissuti  di profonda infelicità e frustrazione, è riconducibile ad una visione del lavoro socio-legale fortemente influenzata da una ideologia di tipo assistenziale, per la quale  i cd missionari socio-legali. sono ancora considerati come professionisti di un tipo di lavoro atipico professionalmente.
L’incontro con i bisogni dell’utenza-clientela porta al professionista forense a dimenticare, o meglio a trascurare  inconsapevolmente i propri bisogni profondi e le proprie motivazioni.

Questo atteggiamento, come abbiamo visto nelle fasi precedentemente descritte, si trasforma gradualmente in un senso di impotenza, di disagio, che rende l’operatoresocio-legale, precedentemente immerso in una immagine di salute, bontà e potere, vittima del dolore, del disagio e del bisogno espressi dall’utente.

 

LE CAPACITA’ OCCORRENTI

 

L’impossibilità di aiutare facilita quindi l’insorgenza del dubbio circa le proprie capacità e l’operatore, che era partito da una fortissima idealizzazione della professione, sperimenta la frustrazione prima e il burn-out poi.

Nella concretezza quotidiana le capacità personali giocano un ruolo importantissimo almeno quanto le capacità tecnico-professionali. Per capacità o abilità personali in psicologia s’intendono l’empatia, la capacità di adattamento alle diverse situazioni, l’autocontrollo, l’iniziativa e la fiducia in se stessi, la competenza nella gestione del lavoro e la capacità nel costruire relazioni in modo creativo ed efficiente. Ciò che D. Goleman definisce “intelligenza emotiva” è appunto la capacità delle persone di affrontare in modo efficace ed ottimale le difficoltà della vita. La possibilità di contattare intimamente le proprie emozioni è data proprio da questa intelligenza emotiva e consente all’individuo  di sviluppare la propria personalità in modo flessibile e creativo.

Tutto ciò, proiettato all’interno della relazione  professionista-cliente consentirebbe al primo di essere empatico e sensibile alle reali esigenze del secondo. Nel burn-out esiste la difficoltà di misurarsi con le proprie emozioni e quindi il non riconoscimento del problema con conseguente sentimento di rassegnazione rispetto alla vita.
E’ questo un modo o meglio un tipo di difesa che consente di attenuare la sofferenza: spesso si sente dire dagli operatori in burn-out “così è la vita”, uno slogan questo che insinua, a lungo andare, in queste persone l’idea che il modo in cui vanno le cose in questo tipo di lavoro è il modo in cui vanno le cose in tutti i lavori!

Non c’è soluzione!

 

PROPOSTE E SUGGERIMENTI

Occorre provare ad ascoltarsi, a guardarsi dentro, a recuperare dentro di sé la propria motivazione e la propria capacità di alimentare desideri. Di fronte alle macerie dei propri ideali è quasi “normale” sentire il peso del fallimento delle proprie prospettive di autorealizzazione.
C’è da dire inoltre che il burn-out non è affatto un problema personale che riguarda solo chi ne è affetto, ma è una “malattia” contagiosa che si propaga in maniera altalenante dall’utenza all’équipe, da un membro dell’équipe all’altro e dall’équipe agli utenti e riguarda quindi l’intera organizzazione dei servizi, degli utenti della comunità oltre che il singolo individuo.

La sindrome da burn-out può essere curata solo con cambiamenti radicali nella vita professionale dell’operatore  in burn-out.

Molto prezioso può rivelarsi  il ricorso a professionisti capaci di offrire una relazione d’aiuto- un buon psicoterapeuta- per il supporto psicologico a difesa del proprio spirito.

Altrettanto essenziale è evitare di isolarsi, cercando il sostegno di familiari, amici e conoscenti con i quali passare momenti di svago, in modo da distogliere la mente dalla ruminazione ossessiva sui problemi patiti nell’ambiente di lavoro.

Così come le tecniche di rilassamento e le attività sportive possono far ritrovare quell’energia necessaria a superare questo momento di empasse.

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Un intervento che può avere invece un valore preventivo è quello formativo, in quanto facilita nell’operatore il riconoscimento di alcune variabili interne ed esterne di rischio insite nelle professioni di aiuto: problemi emotivi personali irrisolti, correlati con le esperienze dell’utente; l’eccessiva identificazione; la personale sensibilità alla sofferenza altrui; la presa di coscienza della  continua e massiccia esposizione alla sofferenza altrui che tali professioni comportano.

In una ricerca pubblicata su “Avvenire Medico”n.7/2005 si sostiene che vi sono comportamenti o, per meglio dire “stili professionali” che possono favorire l’insorgenza di questa espressione di disagio.

Ad es. il 65% di chi fa poca formazione professionale e comportamentale, dedicando a questa attività solo da 1 a 3 gg di corso l’anno, afferma che il lavoro ha peggiorato la qualità della propria vita.

Pochi professionisti posseggono gli strumenti idonei ad affrontare praticamente la sindrome da burn-out. Solo il 20% di essi, ad esempio, utilizza tecniche di rilassamento per affrontare lo stress derivante dal proprio lavoro. Il 73% di chi utilizza invece tecniche di rilassamento afferma che il proprio lavoro è difficile ma sopportabile e, di questi, il 65% afferma che è fonte di miglioramento della qualità della vita.

Altro aspetto importante è la cura della relazione e della comunicazione con le “interfacce”, siano essi utenti, pazienti, allievi, ecc.

L’87% degli insoddisfatti  giudica infatti, una perdita di tempo parlare con i pazienti/utenti, mentre il 73% di coloro che si dichiarano soddisfatti del proprio lavoro giudicano importante parlare con gli utenti e stabilire con essi una relazione interpersonale.

Le conseguenze di tutto ciò sono, come precedentemente detto, molto gravi e si possono schematizzare in tre livelli:

il livello degli operatori che pagano il burn-out in termini personali, anche attraverso gravi somatizzazioni, ma soprattutto attraverso dispersione di risorse, frustrazioni e sottoutilizzazioni di potenziali;

il livello degli utenti, per i quali un contatto con gli operatori sociali in burn-out risulta frustrante, inefficace e dannoso;

il livello della comunità in generale che vede svanire forti investimenti nei servizi sociali.


Abbiamo quindi visto quali sono i fattori che determinano e  nel tempo alimentano la sindrome del burn-out e abbiamo visto anche quali modelli di difesa vengono messi in atto da chi è vittima di questa sindrome. Le difese intrapsichiche di evitamento, fuga, negazione e proiezione persecutoria sono meccanismi che non fanno che alimentare uno stato di disagio, di perdita di ideali e di “impotenza appresa” (secondo Seligman una situazione in cui i risultati avvengono indipendentemente da ogni risposta volontaria dell’individuo o del gruppo) e che possono essere indicatori di inadeguatezze organizzative e di realtà socio-lavorative carenti dal punto di vista della gestione delle risorse.

La prevenzione o il superamento di una situazione di burn-out non può prescindere da un reale cambiamento delle condizioni in cui lavora l’operatore. L’organizzazione del lavoro d’aiuto deve pertanto prevedere innanzitutto la creazione di un clima lavorativo (cioè lo stato d’animo del sistema) positivo attraverso l’analisi e il confronto delle motivazioni e delle prestazioni dell’équipe lavorativa contemporaneamente ad un attento esame che tenga presenti realtà quali la legislazione, i cambiamenti culturali e strutturali organizzativi dei servizi, le gerarchie e i relativi ruoli, i poteri e le responsabilità, le competenze e la formazione professionale.
Garantire un clima che sia gratificante per l’operatore significa gestire il suo carico emotivo personale a favore della promozione del benessere psicofisico e prevenire problematiche relative a stress lavorativo.

Occorre quindi richiamare l’attenzione sull’importanza fondamentale della  prevenzione e della terapia di una sindrome come quella del burn-out, che rappresenta senz’altro la patologia di un’organizzazione lavorativa (la cosiddetta “organizzazione disorganizzata”), con conseguenti ripercussioni negative sia sulla salute dell’ operatore-professionista sia sulla qualità dei servizi forniti alla collettività degli utenti.

 

STRATEGIE DI INTERVENTO


A qualsiasi livello agisca l’operatore-professionista delle helping professions esistono strategie di intervento (identificate da Cherniss ed integrate dal Merolla per quanto attiene al Burn-out forense) per prevenire il burn-out.

Esse sono indicate nella tabella seguente e possono rappresentare un utile contributo per la pianificazione di un programma mirato alla risoluzione di questo problema.

 

Strategie per la Prevenzione del Burn-Out

Sviluppo dello Staff

 

Ridurre le richieste imposte agli operatori-professionisti da loro stessi attraverso l’incoraggiamento ad adottare obiettivi più realistici, pianificando con l’èquipè multiprofessionale modalità lavorative, tempi e ripartizione di compiti, responsabilità, ruoli e funzioni ;

Incoraggiare gli operatori ad adottare nuovi obiettivi che possano fornire alternative di gratificazione, progettando verifiche periodiche di equipe con lo scopo di accertare i risultati raggiunti e modalità di intervento.

Aiutare i colleghi di studio a sviluppare ed utilizzare meccanismi di controllo e di feed-back sensibili a vantaggi a breve termine.

Fornire frequenti possibilità di training per incrementare l’efficienza del ruolo, progettando all’interno dello studio legale o in talune strutture lavorative incontri con esperti dell’area psicologica.

Insegnare allo staff a difendersi mediante strategie quali lo studio del tempo e le tecniche di strutturazione del tempo, favorendo all’interno degli studi delle lezioni di auto-formazione tra gli stessi colleghi di studio: condividendo non solo saperi e guadagni ma anche le gioie e dolori emozionali, con l’aiuto di facilitatori esperti.

Orientare il nuovo staff fornendo un libretto che descriva realisticamente le frustrazioni e difficoltà tipiche che insorgono sul lavoro, deputando ad un supervisore esperto all’interno dello studio legale nel trovare soluzioni .

Fornire periodici “controlli del burn-out” a tutto lo staff.

Fornire consulenza centrata sul lavoro o incontri per lo staff che sta sperimentando elevati livelli di stress nel proprio lavoro.

Incoraggiare lo sviluppo di gruppi di sostegno e/o sistemi di scambio di risorse.

 

Cambiamenti di Lavoro e delle Strutture di Ruolo

 

Limitare il numero di pazienti di cui lo staff è responsabile in un determinato periodo.

Distribuire tra i membri dello staff i compiti più difficili e meno gratificanti ed esigere dallo staff che lavori in più di un ruolo e programma.

Pianificare ogni giorno in modo che le attività gratificanti e quelle non gratificanti siano alternate.

Strutturare i ruoli in modo da permettere agli operatori di prendersi “periodi di riposo” quando è necessario.

Utilizzare personale ausiliario (e volontari) per fornire allo staff ordinario possibilità di riposo.

Incoraggiare gli operatori a prendersi frequenti vacanze, anche con un breve preavviso se necessario.

Limitare il numero di ore di lavoro di ogni membro dello staff.

Non incoraggiare il lavoro part-time.

Dare ad ogni membro dello staff la possibilità di creare nuovi programmi.

Costituire varie fasi di carriera per tutto lo staff.


Sviluppo della Gestione

 

Creare programmi di training e sviluppo per il personale attuale e futuro che si dedica alla supervisione, accentuando  quegli aspetti del ruolo che gli amministratori hanno già difficoltà ad affrontare.

Creare sistemi di controllo per i supervisori, quali indagini tra lo staff, e fornire al personale della supervisione un   feed-back regolare sulle loro prestazioni.

Controllare la tensione di ruolo nei supervisori e intervenire quando essa diventa eccessiva.


         
Soluzione del Problema

Organizzativo e Momento Decisionale

 

Creare meccanismi formali di gruppo per la soluzione del problema organizzativo e la risoluzione del conflitto.

Organizzare training per la risoluzione del conflitto e la soluzione dei problemi di gruppo per tutto lo staff.

Accentuare l’autonomia dello staff e la partecipazione alle decisioni.


Obiettivi del Centro e Modelli di Gestione

Rendere gli obiettivi chiari e compatibili per quanto possibile.

Sviluppare un forte ed originale modello di gestione.

Rendere la formazione e la ricerca i maggiori obiettivi del programma.

Condividere la responsabilità delle cure e della terapia con i pazienti, le loro famiglie e la comunità sociale

Esaurire in maniera  esaustiva la tematica del burn-out,  ricca di mille sfaccettature, non è la pretesa di questo articolo.

Può darsi, tuttavia, che le riflessioni qui contenute richiamino l’attenzione su aspetti personali e del proprio rapporto con il mondo del lavoro cui non si era mai pensato o che invece facciano scattare sentimenti di rabbia o di amarezza apparentemente sopiti.

In tal caso non esistono tecniche diverse da guardare dentro sé stessi.

Si comincia da qui, e non è mai da zero

 

 

NOTE BIBLIOGRAFICHE

 

Avallone F.,   La formazione psicosociale, La Nuova Italia Scientifica, 1989

Costa M.,  “Pillole antidisagio” in AVVENIRE MEDICO 7/2005

Goleman D. Lavorare con l’Intelligenza Emotiva, Bur, 2000

Goleman D. L’Intelligenza Emotiva, Bur,  2000

Lamanna F., Il burn-out in Sanità: sindrome da stress o malattia

professionale?

SRM Psicologia Rivista, Roma 11/09/03

Maslach C., La sindrome del burnout. Il prezzo dell’aiuto agli altri, Cittadella Editrice,  1992

Maslach C., Leiter P., Burnout e Organizzazione. Modificare i fattori strutturali della demotivazione al lavoro, Feltrinelli, 2000

Merolla M. – atti del convegno Il born.out forense: esiti delle prime ricerche dell’Istituto degli Studi Giuridici Superiori e dell’Osservatorio Famiglia e Minori I.P.C., 1999-2005;

Pellegrino F., La sindrome del burn-out, Centro Scientifico Editore, 2000