Istituto degli Studi Giuridici Superiori

Direttore scientifico: Avv.Manlio Merolla

IL GOLDEN BOOK

 Il presente volume viene aggiornato anno per anno.

Menziona le numerose attività poste in essere in questi lunghi anni dai tanti professionisti che hanno offerto il loro tempo, disponibilità e professionalità a vario titolo ed in tempi diversi-

Inoltre annovera i benemeriti ai quali l’Istituto ha insignito della TOGA D’ONORE dell’Istituto o della PERGAMENA D’ONORE PER ATTIVITA’  E MISSIONI PROFESSIONALI DI PREGIO nel campo delle Scienze Giuridiche, Sociali o psicologiche o che si sono distinti con AZIONI DI SOLIDARIETA’ SOCIALE.

La Sua pubblicazione è riservata ai soli Associati o SOCI ONORARI.

IL GOLDEN BOOK - Collana Lex et Jus


PARTNERS STUDIO LEGALE

equipework

 

Lo Studio Legale viene costituito  nel 1999 dall’Avvocato Manlio Merolla, caratterizzandosi per la specifica multidisciplinarietà professionale operante nella materia del Diritto di Famiglia e Diritto Minorile, accogliendo nella propria struttura innovativa numerosi e valenti professionisti : PSICOLOGI, ASSISTENTI SOCIALI, MEDIATORI FAMILIARI e COUNSELLORS.

Inoltre esercitano all’interno attraverso il MODULO DELL’OPEN OFFICE LAW numerosi colleghi esperti in diverse materie:                    DIRITTO CIVILE, PENALE, DIRITTO ECCLESIASTICO E CANONICO, DIRITTO AMMINISTRATIVO, FISCALE,LAVORO ed Altro.

Lo studio nei lunghi anni ha ricevuto ambiti riconoscimenti professionali e scientifici.

Da diversi anni ospita la FORMAZIONE PERMANENTE PROFESSIONALE  FORENSE dei numerosi colleghi facente parte dell’UNIONE NAZIONALE CAMERE MINORILI MULTIPROFESSIONALI e DELL’UNIONE STUDI LEGALI DFM.

All’attualità operano all’interno dello studio o con collaborazione esterna i seguenti colleghi:

Avvocato Manlio Merolla –  Diritto di Famiglia e Minori – Cassazionista

Avvocato Marco Angeloni – Esperto in diritto dei Minori Stranieri;

Avvocato Fabio Candalino – Penalista:

Avvocato Paola Di Girolamo  e Avv. Marika Lubrano De ricco – Canonico ed Ecclesiastico

Avvocato Armando Ceccoli -Amministrativista  / Cassazionista

Napoli Nord: Avv. Giorgio Borrelli

Nola:                  Avv. Andrea D’Alia

Benevento:   Avv. Giovanni Lizza

Caserta:            Avv. Daniela Merola

Milano:             Avv. Serena Montini

Sardegna:        Avv. Alessandra Annedda

Bari:                    Avv.  Roberto Iannone   – Avv. Veronica de Licio

Salerno( Nocera): Avv. Rita Santarpia

inoltre collaborano a vario titolo altre figure professionali con le quali il costante confronto esperenziali diversificato permette un servizio altamente qualificato alla clientela sempre più esigente alle variabili della cultura del nostro tempo.

Praticanti Avvocati:

Dr.ssa Emanuela Marchesano

Dr.ssa Gabriella Morelli

Partners Area Socio-Psicologica:

Dr.ssa Cristina Lizzi ( Psicologa)

Dr.ssa Grazia Graziani ( Psicologa)

Dr.ssa Roberta Ceccoli ( Psicologa)

Dr.ssa Valentina Raiola ( Counsellor)

Dr.ssa Anna D’Amore ( Mediatrice Familiare)

INFORMATICO FORENSE: Ivano Palmentieri

Consulenti Tecnici: Ing. Raffaele Passaro –

 

 


CRIMINOLOGIA: SPORTELLI ASCOLTO ED ANTIVIOLENZA DELL’UNIONE CAMERE MINORILI MULTIPROFESSIONALI

 

a Cura del Centro Nazionale CMM in collaborazione con il Dipartimento Studi Socio-psicologici  dell’Istituto Studi Giuridici Superiori di Napoli – Diretto dal Prof. Manlio Merolla.

Si ringraziano le Psicologhe dell’Unione CMM e ISGS Dr.ssa Cristina Pizzi, Dr.ssa Grazia Graziano e Dr.ssa Filomena Carotenuto per la redazione della presente CARTA DEI SERVIZI DEGLI SPORTELLI DI ASCOLTO ANTI MOBBING CONIUGALE ED ANTISTALKING  ED ANTIVIOLENZA – Sommario :

Premessa. 1

PRINCIPI FONDAMENTALI DEL SERVIZIO: riservatezza e informazione: 1

CHI SIAMO:MISSIONE, ORGANI E RISORSE IMPIEGATE. 2

DOVE SIAMO: 2

I SERVIZI. 2

ACCOGLIENZA.. 3

MINORI. 4

OLTRE LA STRADA.. 5

LA RETE DEI SERVIZI. 6

 

Premessa

La Carta dei servizi è un valido strumento informativo per come accedere ai servizi e alle attività in essere dello sportello antiviolenza.

Rivolta alle vittime di violenze morali e fisiche ed agli operatori di servizi sociali riguardo ai servizi offerti, ai tempi e alle modalità per accedervi.

La Carta dei servizi sarà oggetto di un aggiornamento continuo, in vista dei contributi ricevuti dalla rete.

La Carta è rivolta direttamente a tutte le vittime di violenza [ UOMINI E DONNE] e per coloro che necessitano di orientamenti psicologici e giuridici e può essere un valido strumento conoscitivo per gli enti, le associazioni e tutti i soggetti che, a vario titolo, hanno rapporti con lo sportello ANTIVIOLENZA.

Grazie per l’attenzione,

PRINCIPI FONDAMENTALI DEL SERVIZIO: RISERVATEZZA ED INFORMAZIONE

Lo SPORTELLO ANTIVIOLENZA opera nel rispetto dei diritti fondamentali delle donne che beneficiano della sua attività.

I servizi realizzati nel rispetto dei principi quali: eguaglianza, imparzialità, gratuità, continuità, efficacia ed efficienza, accessibilità e trasparenza del servizio;

UGUAGLIANZA E IMPARZIALITÀ.

Le operatrici operano nei confronti delle utenti secondo il criterio di obiettività, giustizia e imparzialità.

E’ garantita parità di trattamento e parità di condizioni di fruizione del servizio, non è compiuta alcuna discriminazione nell’erogazione delle prestazioni per motivi di etnia, religione, opinioni politiche, condizioni psico-fisiche o socio-economiche e orientamenti sessuali;

GRATUITÀ.

Tutti i servizi offerti allo sportello antiviolenza presentano il carattere della gratuità.

EROGAZIONE DEL SERVIZIO.

L’erogazione dei servizi è svolta con continuità e regolarità. Nei casi di sospensione delle attività in loco esiste un valido supporto a distanza che non lascia solo l’utente, al fine di ridurre al minimo il disagio provocato;

EFFICIENZA ED EFFICACIA.

L’associazione assicura la conformità dei servizi erogati ai parametri di efficienza ed efficacia e con particolare attenzione alla tempestività delle risposte.

Ogni operatrice lavora con l’obiettivo di garantire sostegno e tutela alle vittime di violenza in genere, valorizzando al massimo le risorse a disposizione.

ACCESSIBILITÀ E TRASPARENZA DEL SERVIZIO.

L’accesso al servizio può avvenire tramite una telefonata al centralino attivo 24 ore[ 081.556.14.18] lasciando un messaggio  al quale verrà dato riscontro entro la giornata o presentandosi direttamente presso la sede dello sportello previo appuntamento;

RISERVATEZZA E INFORMAZIONE.

Il trattamento dei dati riguardanti  gli utenti è ispirato al rispetto della riservatezza dovuta.

Gli/Le operatrici e gli/le volontari/e  sono formati/e ad operare nel rispetto della riservatezza delle informazioni di cui vengono a conoscenza secondo quanto previsto dal D.L. 196 del 30 giugno 2003.

Nessuna azione è attivata dall’operatrice senza informarne l’utente, ai quali è garantito la massima e completa informazione sulla gestione del servizio

CHI SIAMO:MISSIONE, ORGANI E RISORSE IMPIEGATE

La mission

Lo sportello antiviolenza è un servizio, senza fini di lucro, che ha riaperto in modo ristrutturato  il servizio nel 2012/13 per aiutare e sostenere le vittime nella denuncia della violenza domestica in particolare

E’ impegnato a contrastare ogni a forma di violenza di genere e  promuovere attività legate al cambiamento culturale, alla sensibilizzazione e prevenzione in particolare del fenomeno della violenza della violenza su donne e bambini/e.

Le risorse

Lo sportello trae le risorse economiche per il proprio funzionamento e per lo svolgimento delle attività da:

a) contributi istituzionali provenienti da convenzioni con Enti locali (Comune, Provincia, Comuni della Provincia);

b) entrate derivanti da attività come progetti, formazione, attività promozionali e culturali;

c) donazioni liberali e donazioni derivanti dal 5 per mille [ non ancora attivato];

d) quote sociali.

DOVE SIAMO:

Lo sportello [ CENTRALE OPERATIVA NAZIONALE DI COORDINAMENTO ] è sito presso l’ ISTITUTO DEGLI STUDI GIURIDICI SUPERIORI DI NAPOLI  in Via DE DOMINICIS 14, nei pressi di PIAZZA MEDAGLI D’ORO, sebbene sezioni distaccate sono operative ed in fase di apertura presso ogni sede territoriale ove sono ubicate le Camere Minorili Multiprofessionali dell’Unione CMM.

La zona è ben servita dal trasporto pubblico e in particolare è possibile raggiungerci con gli autobus:

• linea m2 (METRO COLLINARE)  • linea 30 (dalla Stazione FS) fermata …….

Orari di apertura: • dal lunedì al giovedì dalle 9 alle 17 (orario continuato)

SPORTELLO ANTIVIOLENZA numero telefonico +39 081.   556.14.18       Mail: lexmerolla@libero.it [ Direzione Generale]

I SERVIZI

L’attività dello sportello si caratterizza per servizi :

  • ACCOGLIENZA;
  • SERVIZIO MINORI;
  • PATROCINIO LEGALE civile – penale – criminologico
  • CONSULENZA PSICOLOGICA – COUNSELLING – MEDIZIONE FAMILIAREA questi si affiancano importanti attività di supporto quali la formazione, promozione, ricercaArea di intervento i minori vittime di abuso sessuale, prostituzione coatta, disagio sociale, e iniziative culturali , di prevenzione, di sensibilizzazione, di formazione, di impegno in campo legislativo a carattere nazionale, di messa in rete e di coordinamento locale, nazionale e internazionale.

ACCOGLIENZA: servizio Accoglienza

  • a chi è rivolto:A Tutti in genere senza alcuna distinzione di sesso o nazionalità – Ma in particolare a Donne maggiorenni, italiane e straniere
  • cosa offriamo:L’accoglienza è un punto di riferimento per richieste che spaziano dall’ascolto, al sostegno, ai colloqui, ai gruppi, alle informazioni.Consiste in: una linea telefonica che recepisce e filtra le richieste valutandone l’attendibilità e con successivi  colloqui telefonici, colloqui personali, informazioni legali ed eventuale attivazione della rete territoriale di sostegno e relativi accompagnamenti, attivazione delle procedure per ospitalità in emergenza e protezione.

    Il colloquio con l’operatore/trice è un luogo di confronto dove ogni persona ha la possibilità di svolgere un esame realistico delle possibilità concrete di realizzazione dei propri obiettivi e di protezione dalla violenza.

    Il servizio di accoglienza viene attivato esclusivamente per le persone che richiedono espressamente aiuto,informazione e protezione.

  • Obiettivi:• offrire alle persone che subiscono violenza uno specifico luogo di genere, unico, dove trovare risposte ai loro bisogni di protezione• offrire alle persone uno spazio protetto e non giudicante, dove possono trovare ascolto, informazioni, sostegno e confronto

    • sostenere le personee affinché possano prendere le decisioni più opportune per sé valorizzando le loro risorse personali e quelle esterne su cui possono contare

    • offrire un primo orientamento e informazione al sistema legale (Forze dell’Ordine, avvocati/e e Tribunali)

    • offrire gruppi di sostegno e di confronto finalizzati al rafforzamento personale e all’uscita dall’isolamento

    • offrire una consulenza specialisticaorientamento al lavoro

    • offrire informazioni e sostegno a chi segnala situazioni di persone che subiscono violenza

    sanitari, le Forze dell’Ordine, gli/le avvocati/e, i Tribunali e le  altre istituzioni a sostegno della donna che subisce violenza e dei suoi figli e figlie. come si accede Per poter accedere al servizio è sufficiente una telefonata o presentarsi direttamente presso la sede per fissare un appuntamento successivo. 

    PERSONALE: 

  • Gli/Le operatori/trici di accoglienza hanno una formazione universitaria e hanno accesso a percorsi formativi specifici sulle tematiche connesse alla violenza di genere.Al servizio collaborano volontari/e e tirocinanti.Il team working Social Law, coordinato dalle responsabili del Servizio, si riunisce una volta alla settimana per confrontarsi sulle problematiche legate al servizio.

    In un’altra riunione settimanale tra le coordinatrici dei settori attivati Psicologico, Giuridico, Sociale si confrontano i settori circa metodologia e strumenti di lavoro

    Il colloquio viene svolto in una stanza riservata, ha durata di un’ora.

    Sono presenti esclusivamente i soli operatori e l’utente, eccezion fatta per casi con particolari condizioni (per esempio presenza di una mediatrice culturale).

    Se concordato anticipatamente, è possibile la presenza di un’operatrice per tenere i/le bambini/e durante lo svolgimento del colloquio.

    È prevista una modulistica in fase di ingresso: per ogni persona che contatta per la prima volta lo sportello, viene compilata una scheda per la rilevazione di dati e caratteristiche relative alla persona e alla sua storia.

    La scheda non è un documento pubblico e concorre a tutelare la riservatezza degli/lle utenti che si rivolgono al Centro

    • Numero operatori/trici: 1 /3 (di cui una responsabile)

    • Attesa massima colloqui: 1/3 giorni

    • Numero medio colloqui per persona: 10

    • Durata colloquio: 1 ora

    • Presenza di un luogo riservato per il colloquio

    • Servizio gratuito di orientamento

    • Lavoro di équipe e supervisione

    • Mediatrice culturale

    • Baby sitting

    Il servizio garantisce la privacy e la tutela della riservatezza sia nella fase di intervento diretto che a percorso concluso

MINORI  : servizio Minori

è rivolto Madri che hanno subito violenza; bambini e adolescenti che hanno subito e/o assistito alla violenza; bambine, donne adulte che hanno subito abuso sessuale nell’infanzia; genitori di minori vittime di violenza extrafamilare.

  • cosa offriamo Obiettivi:• offrire alle persone che vivono situazioni di violenza percorsi di sostegno psicologico alla genitorialità;• offrire alle persone adulte che hanno subito abuso sessuale nell’infanzia percorsi di sostegno psicologico;

    • offrire ai genitori di minori vittime di violenza extrafamiliare colloqui di consulenza e sostegno;

    • offrire ai/alle bambini/e che subiscono ed assistono alla violenza percorsi di sostegno psicologico;

    • offrire a tutti/e i/le bambini/e ospiti un sostegno educativo all’interno delle case rifugio;

    • offrire consulenza agli operatori che si occupano di minori in situazioni di pregiudizio;

    • costruire una rete con gli altri servizi e istituzioni preposti alla tutela dei minori.

    come si accede

    Il Servizio Minori vede coinvolte al suo interno figure professionali specificatamente formate sulla violenza ai/alle minori.

    È composto da psicologhe-psicoterapeute di diverso indirizzo.

    Al servizio collaborano volontarie e tirocinanti.

    La metodologia di intervento specialistica fa riferimento alle linee guida internazionali e nazionali e le integra con la metodologia propria dei centri antiviolenza dell’UCMM.

    Il nostro approccio prevede una stretta integrazione con gli altri servizi.

    Attività svolta nell’area psicologica:

  • colloqui di osservazione e/o psicodiagnostici con i/le minori;
  • colloqui di sostegno psicologico e/o psicoterapie rivolti ai minori mirati al superamento del trauma conseguente le situazioni di violenza vissuta;
  • colloqui di osservazione della relazione madre-bambino/a;
  • colloqui di analisi della domanda e della problematica presentata effettuati con la madre e progettazione dell’intervento sul singolo caso;
  • colloqui individuali di sostegno alla genitorialità;
  • gruppi/laboratori rivolti alle mamme che hanno subito violenza;
  • colloqui di sostegno psicologico/psicoterapie per giovani donne che hanno subito violenza nell’infanzia;
  • colloqui di consulenza e sostegno ai genitori di minori vittime di violenza extrafamiliare.Attività svolta nell’area educativa:
  • interventi educativi individuali durante l’ospitalità per fornire un sostegno alla relazione madre-figlio/a nella fase di uscita dalla situazione di violenza;
  • accompagnamento della madre e dei/delle figli/e nell’iter giudiziario;
  • accompagnamenti nella realtà sociale del territorio per facilitare ai/alle minori e alle loro madri l’utilizzo delle risorse presenti sul territorio rivolte ai minorenni,
  • dall’inserimento scolastico alle attività ludiche;
  • collegamento con i servizi territoriali preposti alla tutela dei/delle minori;
  • sostegno scolastico;
  • gruppi/laboratori rivolti ai/alle bambini/e.
  • supporto alla genitorialitàservizio
  • Psicologhe/psicoterapeute (di cui una responsabile)
  • educatrice presente per accompagnamento ai servizi territoriali necessari
  • Lavoro di équipe e supervisione
  • Servizio gratuito legaleIl servizio garantisce la privacy e la tutela della riservatezza alle donne sia nella fase di intervento diretto che a percorso concluso.

OLTRE LA STRADA

Oltre la strada

servizio rivolto Donne straniere maggiorenni vittime di tratta e prostituzione coatta

offriamo Il Progetto in collaborazione con alcuni  Comuni ed Enti con i quali è stato sottoscritto una formale Convenzione

donne presenti sul territorio, per offrire accoglienza alle donne straniere, clandestine, che denunciavano i loro sfruttatori.

Dopo una prima valutazione della richiesta di aiuto e la successiva inclusione nel programma mirato

alla regolarizzazione, le donne seguono un progetto individuale di aiuto e hanno la possibilità di essere ospitate presso un appartamento protetto.

Obiettivi del progetto sono:

area individuale (colloqui individuali; colloqui individuali atti a esplorare nuove modalità comunicative;

  • accompagnamenti sanitari, legali e sociali;
  • sostegno emotivo e regolazione della vita quotidiana;
  • creazione di una relazione di fiducia tra operatrici e utenti;
  • individuazione di percorsi di autonomia che permettano di accrescere l’autostima, valorizzare le capacità personali e i punti di forza della donna);area legale (accompagnamento durante la denuncia presso le Forze dell’Ordine di competenza;
  • assistenza/orientamento legale sia in fase di denuncia che processuale;
  • ottenimento dei documenti di identità presso Consolati e Ambasciate;
  • richiesta di rilascio del nulla osta al permesso di soggiorno per Art. 18 T.U.L.I.; presentazione dell’istanza presso l’Ufficio Stranieri della Questura; rinnovo del permesso di soggiorno e conversione);area sociale (orientamento socio-lavorativo, corsi di alfabetizzazione e di formazione professionale,borse lavoro).

LA RETE DEI SERVIZI

E’ fondamentale, nel potenziamento delle proprie attività, lo sviluppo di un opportuno sistema di relazioni, istituzionali e non, in grado di garantire da un lato una rete attiva con il territorio e dall’altro i bisogni delle donne.

Importante è il rapporto con i servizi sociali comunali.

I servizi sociali vengono attivati, in accordo con la donna accolta, in tutte le situazioni in cui sono coinvolti minori.

Le operatrici possono, su richiesta, redigere relazioni sulla situazione della donna con un focus sul percorso intrapreso.

Obiettivi sono:

• sostenere la donna e coadiuvare i servizi sociali nella tutela dei minori, nella ricerca di una struttura abitativa alternativa all’ospitalità nella casa rifugio, nell’inserimento lavorativo;

• sostenere la donna come madre e i/le figli/e ;

• organizzare incontri tra la donna accolta, l’operatrice del centro e l’assistente sociale di riferimento per progettare insieme un percorso di protezione e di uscita dalla violenza.

La relazione con le Forze dell’Ordine è fondamentale per l’accesso ad alcuni servizi da parte delle donne. Su richiesta della donna, le Forze dell’Ordine contattano la Casa delle donne per richieste di ospitalità e di avvio percorsi di accoglienza.

Viceversa, su richiesta della donna, possono essere le operatrici a contattare le Forze dell’Ordine per valutare insieme alla donna la possibile attivazione dei meccanismi di protezione previsti dalla legge.

Nel caso di donna straniera che non parla l’italiano, nei colloqui di accoglienza è prevista la presenza, oltre all’operatrice, di una mediatrice culturale. Obiettivo della collaborazione è quello di eliminare le difficoltà linguistiche e permettere la libera espressione della donna e garantire la piena comprensione e l’efficacia delle comunicazioni fra la donna e l’operatrice.

VOLONTARIATO:

intento a promuove periodicamente un corso di formazione rivolto alle donne che hanno fatto richiesta di svolgere attività volontarie all’interno dello sportello.

Il corso prevede lezioni sia frontali che interattive tenute dalle responsabili di tutti i servizi.

Alla fine del corso le volontarie potranno partecipare alle attività dei vari servizi concordando tempi, modalità e obiettivi con le responsabili.

Sono attive, inoltre, numerose convenzioni per i tirocini formativi rivolti alle studentesse provenienti dalle Facoltà di: Psicologia, Scienze della Formazione, Scienze Politiche.

Per proporre la propria candidatura come volontaria o verificare la possibilità di accedere ai tirocini da altre Facoltà o Atenei scrivere a:

TRIBUNALE/PROCURA E STUDI LEGALI:

se richiesto dall’avvocato/a di riferimento della persona utente, l’operatore/trice di accoglienza può inviare al Tribunale una relazione scritta sulla situazione riportata dalla donna e sul percorso avviato presso la Casa delle donne.

La Procura dei Minori è attivata se nella situazione di violenza sia coinvolto un/una minore. Le psicologhe del Servizio Minori che seguono madre e/o figlio/a, su richiesta del Tribunale e/o della madre, possono inviare una relazione scritta sul percorso intrapreso presso il Centro.

 GLI STUDI LEGALI, PUNTO DI FORZA DEL SERVIZIO,  SONO ACCREDITATI DALL’UNIONE CAMERE MINORILI MULTIPROFESSIONALI che hanno sottoscritto con l’IStituto ISGS un formale accordo nel rispetto della presente Carta dei Servizi.

IL RAPPORTO CON IL TERRITORIO E CON GLI ALTRI SOGGETTI  PRESENTI O ATTIVI NEL MEDESIMO AMBITO DI AZIONE:

si esprime attraverso il consolidarsi di un’articolata e complessa rete di relazioni.

Tale rete è importante per sviluppare economie di scala, incrociare competenze e conoscenze, ma soprattutto è essenziale per riuscire a individuare e rispondere in modo sempre più efficiente ed efficace ai bisogni delle donne.

lo SPORTELLO  lavora attivamente il raggiungimento della stesura di protocolli operativi formali che coinvolgano i soggetti,istituzionali e non, operanti a livello territoriale contro la violenza di genere.

MAGGIORI INFO IN SEDE.


CRIMINOLOGIA : OMICIDI IN FAMIGLIA – Intervista al Criminologo Manlio Merolla

ARCHIVIO  PUBBLICAZIONI RIVISTA  LEX ET JUS


Patrocinato dall’Istituto degli Studi Giuridici Superiori di Napoli

Nasce su iniziativa delle Camere Minorili Multiprofessionali

di Napoli e di Santa Maria Capua Vetere

“ L’Osservatorio di Criminologia Familiare e Minorile”,

dando vita ad un primo seminario di Studi in materia, in seguito ad un nuovo Allarme Sociale relativo:

Ad un crescente aumento degli Omicidi in Famiglia .

DATI ALLARMANTI DAL RAPPORTO DELL’EURISPES, CONFERMANO I DATI DIFFUSI DAGLII STUDI E RICERCHE DELL’ISTITUTO DEGLI STUDI GIURIDICI SUPERIORI DELLA CAMPANIA IN SEGUITO ALLE PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE SUL FENOMENO SOCIO-GIURIDICO DEL MOBBING CONIUGALE E FAMILIARE [ cfr.pubblicazioni Lex et Jus e raccolta giuridica omonima].

ALLA LUCE DELLE RISULTANZE CONFERMATIVE DELL’ EURES – EURISPES CHE BREVEMENTE VENGONO RIASSUNTE IN SINTESI, SEGUONO NOTE ED OSSERVAZIONI DI CARATTERE CRIMINOLOGICO DELL’AVV.PROF. MANLIO MEROLLA E DEGLI ESPERTI DEL SUO ISTITUTO DI RICERCHE, ESPOSTE DI RECENTE DURANTE UN SIMPOSIO DI CRIMINOLOGIA FAMILIARE CON RIFLESSI INTERPRETATIVI ANCHE SUGLI EFFETTI DELLA LEGGE SULL’AFFIDAMENTO CONDIVISO, ORGANIZZATO DALL’ISTITUTO DEGLI STUDI GIURIDICI SUPERIORI, CHE AVRA’ SEGUITO E REPLICHE PRESSO LE SEDI OPERATIVE DELLA CAMERE MINORILI ED ASSOCIAZIONI FORENSI IN CAMPANIA INTERASSOCIATE.

 

 Intervista all’Avv.Prof.Manlio Merolla

A cura dell’Ufficio Stampa dell’Osservatorio  Permanente Interassociativo a Tutela della Famiglia e per i Minori – Sezione Territoriale della Campania

 

Omicidi in Italia. Nel 2002 gli omicidi maturati all’interno dei “rapporti di prossimità” prendono il sopravvento su quelli legati alla malavita e alla criminalità organizzata.

il 51,5% degli omicidi (complessivamente 325) è infatti avvenuto all’interno della famiglia (223 vittime), tra amici e conoscenti (68 vittime), nell’ambito del lavoro (12 vittime) o del vicinato (22 vittime).

La famiglia, quindi, con il 35,3% delle vittime totali, si conferma come primo tra gli ambiti in cui matura l’omicidio; seguono le 100 vittime (15,7%) riferibili alla criminalità comune e le 77 (12,2%) attribuite alla criminalità organizzata.

Sono 68 gli omicidi (10,7%) “tra conoscenti” quelli cioè che vedono omicida e vittima legati da una precedente frequentazione, per amicizia o semplice conoscenza.

Rilevanti gli omicidi (3,5%) avvenuti tra vicini di casa e quelli maturati all’interno dei rapporti lavorativi (1,9%). Risultano ancora sconosciuti gli ambiti di ben 120 delitti.

Rispetto al 2000 nel 2002 sono diminuiti lievemente i delitti in famiglia (-2,2%) e consistentemente quelli della criminalità organizzata (-39,4%). Mentre nei primi quattro mesi dell’anno da gennaio ad aprile sono stati registrati 49 omicidi in  ambito familiare, relativi alla sfera dei delitti di coppia o coniugale, che hanno causato 62 vittime,pari quasi ad un omicidio ogni due giorni,ai quali vanno aggiunti anche 5 tentati omicidi.

In forte aumento anche quelli tra vicini di casa (+69,2%), quelli tra conoscenti (+58%) e quelli maturati sui luoghi di lavoro (+33,3%).

Dove si uccide. E’ ancora il Mezzogiorno con 304 omicidi, rispetto ai 221 del Nord ed ai 109 del Centro, a detenere l’indice più alto (indice su 100.000 abitanti: Nord 0,9; Centro 1,0; Sud 1,5).

Al Nord prevalgono gli omicidi in famiglia (50,9% del totale in quest’area), la cui diffusione vede al primo posto la Lombardia (15,7%), seguita dal Piemonte (12,6%), dall’Emilia Romagna (8,1%) e dal Lazio (10,8%). Forti incrementi, al Nord, anche per gli altri ambiti della “prossimità”: risultano in netto aumento le vittime di omicidi compiuti nell’ambito del vicinato (+175%) e in quello lavorativo (133%). Anche al Centro prevalgono gli omicidi in famiglia (35,8%) e quelli attribuiti alla criminalità comune (22,9); crescono rispetto al 2000 gli omicidi tra vicini (+150%) e quelli della criminalità comune (+38,9%). I delitti in famiglia (23,7%) e quelli attributi alla criminalità organizzata (23,4%) occupano i primi posti anche al Sud, dove si registra un forte aumento dei delitti tra conoscenti (+163,6%) e della criminalità comune (+35,7%).

Quando si uccide – La fascia oraria più a rischio è quella tra le 18 e le 24 (38,1%); seguono quelle tra mezzanotte e le 6,00 (22,1%) e tra le 12 e le 18 (21,3%); in ultimo la fascia della mattina (6.00-12.00, con il 18,4%). Questa la frequenza degli omicidi durante la settimana: lunedì 20,3%; domenica 16,4%; martedì 15,8%; mercoledì 12,8%; sabato 12,5%; giovedì12%; venerdì10,3%.

Omicidio d’autore. Una prova del diffondersi della personalizzazione dell’omicidio è data dalla forte incidenza della premeditazione (59,9% degli omicidi) che prevale sui delitti non premeditati (40,1%). A compiere gli omicidi sono soprattutto autori singoli (43,5% dei casi), seguiti dai delitti in associazione (17,2%) e in concorso (14%). Il 62,3% degli autori è stato identificato, il 37,7% resta ignoto. Nel 2002 il 41,9% degli autori è stato assicurato alla giustizia entro 48 ore dal delitto, il 46,7% entro 7 giorni, mentre sale al 52,8% il numero degli autori arrestati nell’arco dei 6 mesi; inoltre, nell’11,5% dei casi si tratta di omicidi-suicidi di immediata soluzione.
Come si uccide. Nel 46,2% dei casi è stata usata un’arma da fuoco. Seguono le armi da taglio (19,2%), i corpi contundenti (7,9%), le percosse (4,7%), il soffocamento (4,1%), lo strangolamento (3,2%), l’uso di armi improprie (3%), la precipitazione (1,9%), lo speronamento (0,8%). Per i 293 omicidi compiuti con armi da fuoco, il 23,5% degli autori è risultato in possesso del porto d’armi: questo è stato richiesto nel 39,1% dei casi per difesa personale, nel 30,4% per caccia, nel 21,7% per lavoro e nel restante 8,7% è stato mantenuto anche nell’età della pensione. Più in generale, gli uomini uccidono maggiormente con armi da fuoco (43,1%) il cui utilizzo aumenta con il passare degli anni, mentre le donne ricorrono al soffocamento (23,8) ed alla precipitazione (14,3%), soprattutto negli infanticidi.

Profilo della vittima. Complessivamente, le vittime di omicidio sono soprattutto uomini: 444 vittime (pari al 70%) contro 190 donne (30%). La più alta percentuale di vittime (13,2%) si registra tra gli operai, i manovali e i braccianti, in forte aumento rispetto al 2000 (8,3%). Seguono i pensionati (9,8%), i lavoratori autonomi, imprenditori e liberi professionisti (9,3%), gli impiegati (5,5%) e i commercianti (5%). Nel 2002, rispetto al 2000 sono fortemente calati gli omicidi dei criminali “per professione” (dal 15% al 4,6%), ma anche quelli delle prostitute (dal 4,3% al 1,3%), mentre sono aumentate le vittime disoccupate (da 0,5% al 2,1%). L’82,5% delle vittime è costituito da italiani e il 15% da stranieri: tra questi ultimi prevalgono gli albanesi (2,5% del totale) e i rumeni (1,6%). Il valore più alto della componente femminile tra le vittime straniere si registra tra le cittadine dei paesi dell’Est (39,6%) e del continente americano (44,4%). Il 10 per cento delle vittime appartiene alle diverse fasce del disagio (droga 32,8%; handicap 21,9%; alcool 17,2%; psichico 10,9%; povertà 9,4%).

Profilo del killer. Nel 91,3% dei casi il killer è un uomo; nell’8,3% una donna. Nella fascia tra i 25 e i 34 anni si colloca il 27,1% degli assassini, in quella tra i 35 e i 44 anni il 18,2%. Da sottolineare, rispetto all’anno 2000, un sensibile aumento degli autori di omicidio di età inferiore ai 35 anni (dal 41% al 44,7% nel 2002). Gli autori ultra sessantacinquenni si incontrano soprattutto negli omicidi in famiglia (13%), in quelli sul lavoro (13,3%) e in quelli di vicinato (13,6%). La professione dei killer: il 20% è agricoltore/bracciante/operaio; il 15,8% commerciante, imprenditore o libero professionista; il 15,5% pensionato, l’11,5% artigiano/lavoratore in proprio. Dimezzati gli omicidi attribuiti a criminali per professione (dal 18,4% al 9,1% dei casi noti) e a uomini delle Forze Armate e di Polizia (dall’8,8% al 4,5%). Il 79% degli autori è italiano il 17,4% è straniero (tra questi, il 48,9% proviene dai paesi dell’Europa dell’Est, il 39,8% dall’Africa ed il 9% dall’America).

Moventi.
Nei delitti in famiglia prevale il movente passionale con il 27,4% dei casi, che salgono al 34,7% al Sud, a fronte del 25,9% del Nord e del 17,9% del Centro. Al Nord liti e dissapori si trasformano in tragedia (26,8%) in misura nettamente superiore rispetto al Sud (16,7%) ed al Centro (23,1%). A uccidere per motivi passionali sono soprattutto gli uomini (30,7%), mentre le donne killer sono spesso compromesse da disturbi psichici (23,6%).
Nei delitti tra conoscenti prevale il movente dei dissapori (29,4%, che sale al 41,4% al Sud), seguito dai futili motivi (25%, che supera il 35% nel Centro-Nord) e degli interessi/denaro (17,6%, che sale al 24% al Nord). Nel 69% dei casi vittima e killer sono semplici conoscenti, nel 7,4% amici di famiglia o di quartiere, nel 5,9% colleghi.
Negli omicidi di vicinato i moventi più diffusi sono questioni legate ai confini di proprietà (22,7%) e rivalità per un posto-letto, anche di fortuna (18,2%). Seguono, con pari valore (13,6%), liti e dissapori, gestione amministrativa/pagamenti e futili motivi. Le vittime sono soprattutto operai/braccianti (22,7%) e pensionati (13,6%). Nella maggior parte dei casi (45,5%) vittima e autore sono vicini di abitazione oppure coinquilini (18,2%) mentre il 9,1% degli omicidi avviene tra condomini.
Negli omicidi in ambito lavorativo la vittima è in tutti i casi registrati (12 nel 2002) di sesso maschile. Il 58,3% dei casi si registra al Nord, il 33,3% al Sud. Le vittime si concentrano nella fascia di età tra i 35 e i 54 anni, la più significativa della vita professionale. Le vittime sono nel 25% dei casi soci in affari, nel 16,7 colleghi o proprietari di immobili, nell’8,3% datori di lavoro (in forte calo rispetto al 22,2% del 2000). Le ragioni degli omicidi: liti e dissapori, licenziamenti e assunzioni, scoperta atti illeciti, qualità della prestazione, retribuzione/crediti/debiti. Il killer nel 41,7% si è dato alla fuga, nel 25% si è costituito.

L’omicidio in famiglia – Nei 223 omicidi in famiglia del 2002 prevalgono le vittime donne (63,2% dei casi a fronte del 36,8% dei maschi), più numerose al Nord (68,8%) e al Centro (61,5%) mentre al Sud le differenze si riducono (55,6% donne, 44,4% uomini). Le vittime in famiglia hanno prevalentemente un’età compresa tra i 25 e i 34 anni (22,4%); le vittime con più di 64 anni risultano tuttavia più numerose di quelle della fascia 55-64 anni (19,7% rispetto all’11,7% della fascia 55-64 anni). Elevato è il numero di vittime sino a 18 anni (compresi gli infanticidi) pari al 13,5%. Il maggior numero di vittime donne si concentra nella fascia tra i 35 e i 44 anni (21,3% contro l’11% degli uomini), dove prevale il movente passionale; più numerose sono inoltre le vittime donne nella fascia di età superiore ai 64 anni (20,6% contro il 18,3% degli uomini), dove si contano numerosi omicidi-suicidi tra coniugi anziani e delitti compiuti da figli, nipoti, generi e nuore. Prevalgono tra le vittime in famiglia la figura del coniuge/convivente (30,9%), seguita da figli (17%) e genitori (9,9%). Elevato il numero dei partner (8%) e degli ex (6,7%).

Le donne uccidono principalmente i figli (52,9%) i coniugi (23,5%) e i genitori (8,8%).
Nel 62,8% degli omicidi in famiglia la vittima convive con il suo assassino (nel 37,2% non convive); nel 67,2% degli omicidi passionali le vittime non convivono con i loro assassini, così come nel 42% dei delitti per denaro o interesse.

Sono conviventi oltre l’80% delle vittime degli omicidi originati da raptus, disturbi psichici e situazioni di disagio

Accanto al movente di natura passionale ed a quello derivante da liti e dissapori (entrambi con 43 vittime, pari al 23%), tra le altre cause dell’omicidio in famiglia emerge il disagio della vittima o dell’autore:

il 12,8% è attribuito a disturbi psichici dell’ autore,

il 9,6% a futili motivi,

l’ 8,6% ad un raptus

ed il 6,4% ad una situazione di forte disagio della vittima stessa.

 

Nella maggior parte dei casi la vittima è coniuge o convivente (72 vittime nel 2004, pari al 38,5%, prevalentemente donne); seguono i genitori (33 vittime, pari al 17,6%), i figli (25, pari al 13,4%) e gli ex coniugi/ex partner (20 vittime, pari al 10,7%). Inferiore il numero delle vittime tra partner/amanti (7 casi, pari al 3,7%), così come tra fratelli e con altri familiari (entrambi con 5 vittime pari al 2,7%).

Le vittime di omicidio domestico sono soprattutto pensionati (15,2%), casalinghe (9%), operai/braccianti (8%), impiegati (7,2%) e studenti (3,6%). Nei delitti in famiglia si costituiscono o lasciano arrestare principalmente le donne (70,6% contro il 42,3% degli uomini), mentre gli uomini tendono maggiormente a suicidarsi (30,7% contro il 2,9% delle donne). Sono tuttavia soprattutto le donne a premeditare l’omicidio (38,2 contro il 23,5% degli uomini).

L’Eures concretizza con questo primo “Rapporto annuale sugli Omicidi in Italia” un lavoro che da anni svolge il suo Osservatorio sulla criminalità, attraverso un meticoloso monitoraggio degli eventi delittuosi. Il rapporto 2002 ha come riferimento l’anno 2000: dal confronto dei dati emerge la diminuzione di quelli attribuiti alla criminalità comune e organizzata, accanto alla netta prevalenza degli omicidi maturati nei rapporti di prossimità; questo risultato, e soprattutto le dinamiche osservate, disegnano una realtà nella quale lo spazio vitale dell’individuo, cioè l’insieme delle relazioni significative, si va gradualmente riducendo, con una progressiva perdita della capacità di discriminare, al di là della prospettiva emotiva e dei comportamenti reattivi individuali, tra ciò che ha realmente senso e valore e ciò invece ne ha in misura soltanto marginale.
I risultati del Rapporto indicano dunque che lo studio dell’omicidio deve oggi maggiormente concentrarsi sulle cosiddette patologie della normalità e soprattutto, sulle reazioni individuali al disagio, allo stress e alla frustrazione, in una dimensione sociale caratterizzata dall’indebolimento e dalla perdita di ruolo di alcuni tradizionali attori della “mediazione sociale” (la famiglia e le Istituzioni, ma anche i sindacati e le altre organizzazioni rappresentative).

Le possibilità di prevenzione, in questo contesto, sembrano infatti decisamente ridursi, in assenza di modelli interpretativi e strategie di attenzione capaci di cogliere le nuove cause degli omicidi.

L’ INTERVISTA:

Prof.Merolla, Lei è stato indicato dalla comunità scientifica il padre della Criminologia Familiare avendo per oltre dieci anni studiato il Fenomeno facendo emerge anche dati ed elementi oscuri nelle sue numerose pubblicazioni, in effetti i problemi più preoccupanti quali possono essere nell’attualità?:

R.:Da indagini effettuate sull’ampia casistica si è avuto modo di constatare che, il SUD ITALIA, e la CAMPANIA in particolare detiene il più alto numero di omicidi in famiglia e non di rado, gli episodi di omicidi nell’ambito familiare, sempre più agli onori della cronaca, maturano proprio nell’ambito dei contrasti coniugali che continuano a caratterizzare i rapporti anche nella fase successiva alla separazione.

Sovente accade che l’alta conflittualità nella coppia o nei rapporti parentali, non adeguatamente affrontata e risolta attraverso la sua elaborazione, sfoci in atti di violenza estrema. Ebbene, non va sottovalutato come in tali dinamiche conflittuali giochi un ruolo fondamentale la difficile gestione dei rapporti tra i figli ed il genitore non affidatario – che, in base all’attuale prassi  giurisprudenziale, nella generalità dei casi è il padre.

In particolare, laddove uno dei coniugi abbia difficoltà ad accettare la separazione, l’affido esclusivo dei minori all’altro coniuge fa scattare un meccanismo di forte antagonismo che vede la propria centralità nei figli.

 Il rapporto che si instaura dopo la pronuncia della separazione tra il genitore non affidatario ed i figli subisce l’interferenza dell’altro genitore che, da un lato, carica emotivamente i minori, utilizzandoli quale tramite per giungere all’altro coniuge, dall’altro rende gli stessi destinatari di una vera e propria campagna di denigrazione nei confronti del genitore non affidatario, che, pertanto, non soltanto vede stravolto il proprio schema di vita, rispetto a quello preesistente alla separazione, ma che si trova oggettivamente escluso dall’affetto dei figli. E così accade spesso che il genitore non affidatario viva, accanto ad un fallimento coniugale, anche quello genitoriale.

In un tale contesto, con l’ingenerarsi nel genitore escluso della sensazione di rigetto da parte dell’altro coniuge e dei figli, può trovare il proprio humus ideale la maturazione di gesti di violenza estrema, spesso potenziati ed istigati proprio dall’altro coniuge che posto in una situazione di vantaggio conduce un gioco perverso, subdolo e spesso psicologicamente violento,

 

 

D.: Avv.Merolla per quale motivo ha voluto realizzare a Caserta un primo Seminario Specialistico in materia?

R-:Il motivo propulsore è stato di dare vita ad una RETE INTEGRATA MULTIPROFESSIONALE ALTAMENTE QUALIFICATA. Il primo SEMINARIO DI STUDI IN CRIMINOLOGIA FAMILIARE NEL CASERTANO, con la partecipazione di tutte le forze ed intelligence investigative criminologiche nella materia [ Questura di Caserta, POLIZIA DI STATO, Esperti dell’Istituto degli Studi Giuridici Superiori e della CAMERA MINORILE del Foro di Santa Maria Capua Vetere] coinvolgendo anche gli altri protagonisti professionali spesso coinvolti in dette vicende, quali assistenti sociali ed insegnanti, ha permesso di comunicare a diversi livelli imparando un unico linguaggio  ed individuare orizzonti comuni da raggiungere.

 

D.: COSA HA CARATTERIZZATO QUESTO SEMINARIO DI STUDI?:

R.:Grande interesse, viva e febbrile partecipazione ed un intento comune.

Peraltro anche il fatto che  questo primo ciclo di studi in scienze criminali, è stato sostenuto e patrocinato anche dal Tribunale per i Minorenni di Napoli dr.Stefano TRAPANI, dall’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e della Famiglia, dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e dall’ORDINE DEGLI AVVOCATI DEL DETTO FORO, dimostra una comune volontà di cercare obiettivi e metodi di indagini nuove ed adeguate alla lotta del Crimine.

 

L’Intento che possiamo ritenere in gran parte raggiunto è stato quello di IDEARE E CREARE UNA RETE MULTIPROFESSIONALE tra istituzioni pubbliche ed istituti ed Associazioni specializzate nel settore operanti sul territorio, una sorta di TASK FORCE pronta a consultarsi ed aiutarsi sui casi più complessi attraverso una condivisione di saperi ed esperienze.

 

D- CI SARANNO NUOVI SEMINARI IN MATERIA?:

R.:I seminari avranno sicuramente seguito come già convenuto e verranno proposti anche a Napoli, in Irpinia, Nola e Benevento. Segno dunque che esiste l’esigenza comune in Campania di far fronte in modo serio e qualificato ad una altra battaglia del nostro secolo, affrontando un NUOVO E PREOCCUPANTE ALLARME SOCIALE : La Criminalità Domestica.

 

D.COME CRIMINOLOGO COSA TEME MAGGIORMENTE NEI DELITTI IN AMBITO INTRAFAMILIARE?

R.: Il mio timore è frutto di una esperienza tangibile in materia, che spesso fa nascere e potenziare rabbia, disperazione e frustrazioni nelle numerose vittime che presto si trasformano in Killer: le False denunce! Quelle poste in essere dall’altro coniuge spesso con gratuita cattiveria o per sete di vendetta al tradimento. 

La doverosa caccia alla pedofilia ha infatti prodotto una quantità intollerabile di false accuse che hanno trascinato persone rispettabili in un vortice di inchieste inverosimili.

Sono molte le persone  diventate arbitrariamente vittime di indagini, carcerazioni, arresti domiciliari, processi e pubblico linciaggio, per fatti semplicemente non accaduti, che una semplice indagine giudiziaria, imparziale e avveduta, avrebbe potuto facilmente smascherare.

Per rendersi conto dell’ampiezza del problema, è sufficiente riflettere sul fatto che la percentuale di denunce che si rivelano poi infondate è decisamente alta (secondo alcune rilevazioni va oltre il 50% dei casi).

 

1983-1989 USA: L’ASILO MCMARTIN – Un caso di falsi abusi che scosse l’America
1989 IL CASO DI LANFRANCO SCHILLACI
1991-2000 IL POOL DEL  PM PIETRO FORNO: “IL PIACERE DI INDAGARVI”
dicembre 2000 Abusi sulla figlia, assolto. E il pm accusa la psicologa
2001 Assolto da accusa violenze su nipoti dopo 18 mesi carcere
2001 IL CASO “MODENA” – don Giorgio Govoni
2003

Abusi, scagionato il professore di musica «Un incubo lungo 800 giorni…»

2004 IL CASO “OUTREAU” – Una “Waterloo della Giustizia”
2004 IL CASO “TORINO”
2004 IL CASO “BERGAMO”
2001-2006 IL CASO “BRESCIA”
novembre 2004 Brescia – un altro caso di falso abuso – Pedofilia e psicologia: le derive giustizialiste
gennaio 2005 Fine di un incubo per Giuseppe R., 48 anni: Non ha abusato del figlio, padre assolto
maggio 2005 La corte d’appello di Brescia riabilita Andrea Silvestri, ex assessore della Puglia
settembre 2005 Bari, maestra arrestata, dopo quasi un anno il PM chiede l’archiviazione!
settembre 2005 Bologna: dopo un anno di carcere, il GIP chiede l’archiviazione e critica duramente l’operato degli psicologi
ottobre 2005 Il caso di L.M.: come è facile condannare!
ottobre 2005 Torino: violenze sui bambini, assolti
novembre 2005 Immagini di pedofilia nel PC, assolto avvocato
febbraio 2006 Bolzano, assolto il prete accusato di pedofilia
marzo 2006 False le accuse della moglie suicida. Assolto dopo un lungo calvario giudiziario: né pedofilo, né violento
maggio 2006 Brescia: padre assolto dalle accuse di abusi perchè “il fatto non sussiste”
maggio 2006 Abusi sui figli – Il giudice lo scagiona
maggio 2006 Bologna: accusato senza prove. Era soltanto una calunnia.

 

Purtroppo, non tutte queste denunce vengono smascherate in tempi rapidi e spesso bisogna attendere  le sentenze dei tribunali.

Va dunque osservato che il fenomeno ha una lettura interpretativa ancora più complessa, infatti il crescente numero degli omicidi in famiglia è il risultato trigenerazionale nato da conflitti familiari ed esempi negativi.

Il dato allarmante statistico conferma l’ipotesi della “ sindrome conflitto-delitto” che si scatena la dove albergano legami affettivi belligeranti e conflittuali: 18 omicidi e tentati suicidi su 34 si verificano tra coppie coniugate. Ed il numero è crescente ove sussiste la presenza di figli “ contesi”.

Ed ecco dunque come le esigenze sociali muovono e trasformano in modo aderente o quasi, nuove normative, più delle volte rappresentate da bisogni ed esigenze diverse o giustificate per interessi più vari.

D.:COSA CAMBIERA’ CON LA LEGGE SUL CONDIVISO?:

R.:Con la legge sull’affido CONDIVISO, gli analisti socio-giuridici confidano, ma con poche speranze un cambiamento culturale, che avrà bisogno di molto tempo per conformarsi alle nuove esigenze sociali del nostro tempo, in base al quale nessun genitore, almeno in via teorica, deve sentirsi escluso o allontanato dalla prole, sebbene chi scrive teme che non sono le norme a cambiare gli uomini ed i suoi sentimenti ma al contrario deve essere la nuova cultura genitoriale e coniugale a dare l’impulso propulsivo al cambiamento auspicato.

Non essendo stati abrogati espressamente, le altre tipologie di affidamento della prole, tra questi il congiunto,l’alternato o l’esclusivo in particolare, giustamente, gli operatori ed esperti in materia temono un preordinato quanto silente aumento delle conflittualità coniugali e familiari da parte di quei genitori che non intendono rinunciare all’”esclusività sulla prole”, al fine di far fallire i buoni propositi della nuova legge, inducendo i giudicanti di applicare nell’interesse dei figli affidamenti esclusivi a danno purtroppo proprio degli stessi bambini che si intendono tutelare.

Da questa nuova ottica è possibile argomentare che le finalità della nuova legge sull’affido condiviso vanno oltre a quelle palesemente rappresentate, potendo potenzialmente  ridurre o ad aumentare le ben note conflittualità coniugali per ruoli e funzioni  genitoriali contesi, ma solo dalla pratica e dal buon senso non solo di tutti gli operatori del diritto in materia,ma dei “ nuovi genitori”, i risultati che tutti si augurano di realizzare potranno avere effettiva concretezza applicativa.

D.: UN SUO SUGGERIMENTO ED IL SUO PROPOSITO?:

R.: Occorre una nuova cultura della separazione che nasce proprio da chi quell’ esperienza l’ha vissuta ed è stato in grado di raccontarla e promuoverla con una richiesta di una legge più consona, merita nella nostra convulsa quotidianità un momento di riflessione per interrogarci anche sull’audace volontà di cambiamento mostrata dal nostro legislatore.

Oltre alla testimonianza dei fatti è importante cogliere la ricerca di senso, in questa epoca dell’anonimia e dell’indifferenza, la separazione familiare si pone come un problema di carattere privato da risolvere in silenzio e velocemente. Eppure sono proprie le emozioni soffocate che invocano udienza, e con la nuova legge e le recenti ricerche in materia effettuate dall’Istituto degli Studi Giuridici Superiori , dopo averle raccolte e studiate devono essere riproposte nell’interesse di tutti.

Perché occorre mostrare a tutti coloro che si trovano per vicissitudine ad affrontare le sofferenti fasi di una separazione che è possibile vivere e condividere l’evento separativo senza smarrire quel forte ed invisibile senso della vita, che attraversa e travolge le trame di vissuti travagliati in particolare da percorsi esistenziali e formativi dei figli, che recepiscono e trasformano da adulti ogni messaggio genitoriale del comune patire, riproponendolo nelle loro future famiglie.

D.: COSA DEVONO FARE I NUOVI AVVOCATI MINORILI E DELLA FAMIGLIA?:

R.:Anche i nuovi avvocati della famiglia e dei minori per espletare con coscienza e competenza i mandati conferiti, devono cercare di affinare le nuove competenze e gli innovativi strumenti professionali  mutuati ed offerti da altre discipline scientifiche, senza abbandonare il metodo obiettivo, affidandosi anche al flusso delle emozioni per giungere ai confini della parola, per raccogliere le palpitazioni delle sofferenze che restano soffocate spesso nelle lacrime di chi vive l’evento del lutto da separazione.

Chi è immerso nella sofferenza, – come insegna una psicologa che stimo professionalmente: Silvia Vegetti Finzi, – solo inabissandosi sino a scorgere le ombre sul fondo può trovare la forza di risalire, non per galleggiare, ma per nuotare ancora.

Perché quando la famiglia si sgretola, allora bisogna trovare la forza di reagire, accettare la sfida delle passioni e dei legami spezzati e la paura di restare soli, mutando l’esistente ricominciando da sé.

Oggi in una cultura dove dominano la fretta, l’efficientismo, la superficialità, l’autarchia individualistica degli affetti,non possono essere inattuali i richiami evocativi a passioni e sentimenti.

In particolare è mio vivo desiderio trasmettere a tutti coloro che hanno avuto fiducia in me, offrendomi in dono la confidenza più profonda: quella della loro vita, comunico la mia profonda empatia  che provo per ciascuno di loro, che mi ha permesso entrando nelle loro storie di evocare e recuperare sensazioni ed emozioni perdute e ritrovare una insolita capacità di dialogo ormai smarrita.-

Alle indagini Istat dei prossimi anni quindi il futuro riscontro, a noi tutti un lavoro ancora più complesso ed arduo ed ai  “nuovi genitori” la forza ed il coraggio di ricominciare per amore dei propri figli e per un futuro migliore degli stessi.

 

 

 


CRIMINOLOGIA:Metodi di Ricerca nella Criminologia Familiare e Coniugale – di Manlio Merolla

CRIMINOLOGIA

Metodi di Ricerca nella Criminologia Familiare e Coniugale

 Avv. Prof. Manlio Merolla     [ pubblicazione sulla Rivista Lex et Jus ]

Presidente Nazionale  Unione delle Camere Minorile Multiprofessionali

Un nuovo ramo di studio nelle scienze Criminali dal 1996 ad oggi  è stato realizzato dagli studi condotti dai ricercatori dell’ Istituto degli Studi Giuridici Superiori di Napoli.

Con il presente contributo offerto dal Prof. Merolla, cerchiamo di individuare i percorsi della nuova ricerca metodologica

                       Punto di Partenza

ANALISI DEL METODO SCIENTIFICO  NELL’ EVOLUZIONE DELLA CRIMINOLOGIA

Dagli studi condotti in materia, è possibile fare risalire ed attribuire agli studiosi dell’Illuminismo della Francia  del 1700 l’introduzione della metodologia scientifica nello studio applicativo del fenomeno criminale, attraverso una nuova lettura interpretativa del “contatto sociale”, inteso come quel complesso normativo destinato a garantire l’applicazione dei principi di chiarezza, certezza della legge.

IN ITALIA

Una prima rappresentazione applicativa nel diritto penale basata su principi illuministici si rileva nel 1764 in una famosa pubblicazione di Cerare Beccarla intitolata “Dei Delitti e delle Pene”. Nella detta opera significativi sono stati  i richiami ricorrenti all’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, alla proporzionalità della pena relativamente alla gravità del delitto e alle garanzie difensive per l’imputato.

Questa particolare corrente di pensiero, riconosciuta come “Scuola Classica”del diritto penale, ha avuto autorevoli rappresentanti in Rossi, Carmignani e Carrara, i quali hanno contribuito ad affermarla.

Va però precisato che, dopo numerosi impulsi scientifici – quali l’elaborazione progettuale del cd. “PANOPTICON” di Jeremi Bentham (1700), sostenitore della teoria del cercare come strumento di controllo e cambiamento dei delinquenti e delle teorie darwiniane e positivistiche – , soltanto nella prima metà dell’800 la nuova criminologia ha cominciato a configurarsi.               

POSITIVISMO   CRIMINOLOGICO

Il metodo scientifico applicato al crimine sperimentale riceve un primo e significativo impulso dalla filosofia positivistica.

Ufficialmente, solo nel 1876, con una nota pubblicazione di Cesare Lombroso dal titolo: “L’ uomo delinquente”, la “scienza criminologica” riceve il suo battesimo, attraverso una teoria che individua in uno stereotipo umano il c.d. delinquente costituzionale o nato.

Nel tempo, lo stesso  Lombroso, partendo da alcuni studi sulla popolazione detenuta  nel ribassare le prime percentuali statistiche delle sue ricerche, cominciò a ridurre dal 70% al 30% la sua tipizzazione dei criminali per costituzione, affermando una prospettiva della “pseudo – teoria multifattoriale”.

                                   ANALISI CRITICA  DELL’ IMPOSTAZIONE METODOLOGICA DELLA RICERCA

di Cesare Lombroso

Tenuto conto che gli  studi lombrosiani  avevano come oggetto un campione alquanto limitato e privo di rappresentatività, raccolto probabilmente in modo mirato in una popolazione carceraria, le conclusioni statistiche di carattere socio-scientifiche sono risultate poco significative.

Nel mondo scientifico, le prime relazioni sulle risultanze lombrosiane rese pubbliche all’ epoca, inizialmente cominciarono a destare interesse e sostenitori; ma l’applicazione semplicistica di carattere medico alla ricerca e studio criminologico, venne successivamente ritenuta destituita da presupposti medici.

La complessità dell’ approccio fenomenologico in ambito criminale, con teorie basate su ridotte stime statistiche e su induzioni di natura medica, ha caratterizzato in modo limitante gli studi lombrosiani.

Il merito, tuttavia, attribuibile al Lombroso è stato certamente quello di aver dato origine alla Criminologia moderna, attraverso percorsi  nuovi di ricerca e studio, realizzando una elaborazione giuridica ed interdisciplinare poliscientifica della scienza del crimine, ispirata ad una filosofia positivista.

Nel contempo, negli U.S.A. si contrapposero orientamenti scientifici con impostazioni di carattere prevalentemente sociologico, che tutt’ ora permangono validi in gran parte.

Chi scrive, alla luce dei passaggi giuridici e medici collegati dal Lombroso nelle sue pubblicazioni, ritiene che l’impostazione metodologica dallo stesso posta in essere nelle sue ricerche è stata penalizzata da una limitata fase sperimentale, la quale, se fosse stata attuata con supporti sociologici e con più adeguate osservazioni mediche mulitprofessionali  e in fase ad una campionatura più estesa, certamente avrebbe avuto non solo maggiore risonanza, ma più consensi.

Tuttavia, la criminologia, per sua essenza, oggi necessita di uno studio complementare multiprofessionale, nella consapevolezza che essa nessuna certezza  può offrire, se non significativi indirizzi scientifici nella sua nuova impostazione metodologica di ricerca e studio nella scienza criminale.

Pertanto, l’attuale “Scienza criminale” raccoglie in sé discipline diverse, quali la politica penale/criminale, penitenziaria, la psichiatria forense, la medicina legale e la psicologia giudiziaria, fino a giungere oggi a due nuove strutture metodologiche note come criminalistica cibernetica ricostruttiva e criminologia familiare attraverso il fenomeno del mobbing familiare e coniugale. 

Ciò stante, le nuove tecniche di investigazione criminale (giudiziaria) lasciano ancora aperto un forum in materia, le cui risposte e domande si susseguono nel tempo .

Le risultanze a cui sono prevenuti i maggiori esperti in materia dal 1966 ad oggi possono essere individuate, con estrema sintesi, nelle determinazioni che seguono, raccolte nella nota classificazione di LINDZEY:

A)    METODOLOGIA DELLA SISTEMATICITA’

B)     METODOLOGIA DELLA CONTROLLABILITA’

C)    CAPACITA’ TEORETICA

D)    CAPACITA’ CUMULATIVA

E)     CAPACITA’ PREDITIVA

I LIMITI DELLA SCIENZA CRIMINALE

A parere di chi scrive, la difficoltà che ha impedito alla SCIENZA CRIMINALE di affermarsi come tale è stata la complessità della fusione delle diverse “scienze umane” che si sono interessate al fenomeno della criminalità: la sociologia, l’antropologia, la medicina, la psichiatria, la pedagogia e la statistica.

In modo particolare, la difficoltà maggiore è stata l’individuazione e l’applicazione di un unico metodo di ricerca valido per tutte le discipline di studio.

Tuttavia, tenuto conto che ogni disciplina e scienza hanno un proprio metodo di ricerca, di analisi e studio, e rilevato che il campo di azione del criminologo è sconfinato, l’utilizzo di metodi comuni per ogni scienza risulta al quanto difficoltoso.

Pertanto, di fronte a casi che richiedono un’analisi multidisciplinare, per ogni criminologo è inevitabile adottare metodologie di ricerca integrate, coordinando conoscenze e tecniche con confronti comparati, fondendo in sé diverse discipline

E’ pur vero che la scienza criminale è relativamente giovane, frutto di elaborazioni dottrinarie ed empiriche ancora in fieri, fra le quali, come ultima è rientrata quella riguardante il fenomeno ancora in studio e ricerca sollevato dal 1996 ad oggi dal sottoscritto, relativo alla criminologia familiare e coniugale attraverso attività mobbizzanti (cfr. Lex et Jus – Osservatorio Giuridico).

Le critiche ed i confronti professionali in materia, spesso si dispiegano con toni decisamente avversi fra i diversi orientamenti di pensiero, dovuti non sempre ad osservazioni critiche di carattere scientifico, mosse da emotività “inspiegate”; tutto ciò agevola il procedere verso una sempre più rinnovata modernizzazione scientifica degli studi e delle ricerche della criminologia, facendo cadere quelle forti linee di demarcazione tra scienza e diritto, tra psicologia e scienze sociali, tra osservazioni e statistiche che hanno costituito in questi anni una inutile linea netta di confine in questa scienza.

Una conferma della scientificità della criminologia, pur se caratterizzata come scienza empirica, è data dal fatto che anche le leggi che governano la fisica quantistica sono considerate probabilistiche, provvisorie e modificabili.

Questo revisionismo autocritico sull’oggetto metodologico del crimine e sui limiti della criminologia, che inevitabilmente ci conduce a ragionare in termini di “CRIMINOLOGIA INTERDISCIPLINARE”, può apparire concettualmente errato, ma tuttavia rappresenta il livello più rappresentativo di integrazione di diverse discipline dedite allo studio del crimine.

Ciò non solo presuppone obiettivi comuni di ricerca, elaborazioni e verifiche comparate, ma impone comunque una logica metodologica condivisa e strutturata, fondendo in sé diversi frammenti del sapere.

In realtà, ogni criminologo nella sua azione deve operare non solo scelte di politica criminale – individuando programmi di mediazione e di risocializzazione sulla base di valutazioni della personalità, proponendo la concessione di misure premiali o alternative alla detenzione – , ma deve necessariamente spogliarsi della “presunzione della tuttologia”, confrontandosi con modestia ed umiltà con esperti delle altre discipline chiamate in causa; infatti, per la sua diversità di metodi scientifici, di fonti e di linguaggi scientifici, la criminologia fa assumere ai termini di “danno” ed al concetto “di vittima” significati diversi secondo le diverse ottiche cliniche, psicologiche e sociologiche o giuridiche, perché ognuna parte dalla propria formazione culturale e scientifica

Ed è proprio la formazione di provenienza di ogni ricercatore che inesorabilmente finisce per incidere sulla metodologia di scelta dei criteri, dei sistemi e della prassi della ricerca.

Tuttavia, la diversità di indagini, di metodi, di fonti e di linguaggi nella criminologia moderna deve trasformarsi in ricchezza scientifica, prospettandosi in progettualità di connessione ed interrelazione per il raggiungimento di un preciso obiettivo: il superamento dei limiti e dei confini delle discipline di ricerca in gioco, trasformandoli in risorse complementari

Attualmente, la comunità scientifica chiamata ad esprimersi in materia si ritrova comunemente d’accordo nel garantire, ai ricercatori di estrazione e formazione diverse, un metodo comunicativo nuovo e condiviso, capace di amalgamare saperi differenti superando i singoli limiti.

FASI METODOLOGICHE E PERCORSI

DI RICERCA NELLA CRIMINOLOGIA FAMILIARE

Oggi, dopo percorsi di ricerca comune in criminologia familiare, si è pervenuti ad una elaborazione dottrinaria attenta e specifica delle più significative fasi dell’impostazione metodologiche e di ricerca criminologica.

  • FASE CONOSCITIVA PRELIMINARE NELLA PROGRAMMAZIONE DELLA RICERCA.

1)     La fase della committenza relativa agli aspetti economici della ricerca;

2)     al reperimento dei dati;

3)     partecipazione di risorse umane nel rispetto della privacy; (c.d. consenso informato; protezione dell’identità dei partecipanti alla ricerca).

In tal senso, purtroppo, allo stato ufficiale si rileva che, ad eccezione di un generico protocollo d’intesa relativo alla segretezza dei dati raccolti in ambito clinico redatto in Inghilterra, si auspica l’introduzione di un codice comportamentale sul metodo e sulle regole metodologiche.

Tuttavia, seguendo lo schema prospettato dal Baldini nel 1991 ed accettato dalla comunità scientifica, le fasi della ricerca – rielaborate dal sottoscritto alla luce delle ricerche condotte in questi dieci anni nello studio di fatti di specie criminosa in ambito familiare, contemperate caso per caso da variabili indipendenti e da fasi aggiuntive ed integrative [ esempio fasi di osservazione diretta o indiretta partecipanti attraverso l’intervista e/o colloquio di ispirazione clinica della Scuola di Chicago] -possono così essere rappresentate con estrema sintesi:

1)     FASE DELL’ESAME FENOMENOLOGICO

2)     FASE DELLA PIANIFICAZIONE STRUTTURATA DELLA RICERCA

3)     FASE DELL’INDIVIDUAZIONE DELLE POSSIBILI IPOTESI

4)     FASE DELLA VERIFICAZIONE DELLE IPOTESI PROSPETTATE (CON ELABORAZIONI DEI DATI DELLA RICERCA CONDOTTA)

5)     FASE DEL DEPURAMENTO DEI PROCESSI DI RICERCA DEDUTTIVI ED INTERPRETATIVI DEI RISULTATI OTTENUTI

6)     FASE DELLA QUADRATURA DEL CERCHIO: RICERCHE CONFERMATIVE.

Tra le fasi della ricerca, quelle che assumono più rilievo, sebbene tutte si rendano inscindibili e necessarie, soprattutto nella scelta del caso da esaminare,  sono quelle  della pianificazione, della raccolta dati e della verifica.

La fase della pianificazione della ricerca da farsi deve rispettare una “struttura logica e operativa” chiara e delineata, supportata da una corretta analisi scientifica nei vari passaggi.

Ogni indicatore ed ogni variabile devono essere tenuti conto da passaggio a passaggio.

Il criminologo, pertanto, deve essere pronto in ogni momento a rivedere e a ritornare sulla sua ricerca ogni volta che una variabile induca ad un’analisi diversa da quella in fase di formazione.

Ciò comporta necessariamente l’osservanza dell’ “equa distanza” nelle fasi di verifica e studio, mantenendo il giusto distacco da ogni ipotesi e teoria prospettabile, al fine di evitare il rischio di pregiudicare i percorsi di ricerca ed i risultati con preconcetti mentali o vissuti interiori.

L’altra fase, che a parere di chi scrive, risulta essere non solo molto complessa, ma rappresenta la fase più delicata per ogni criminologo che trovansi ad operare spesso in équippe multiprofessionale e/o con metodi e fonti interdisciplinari, è la fase della raccolta dei dati.

Il principio e la regola base per ogni ricercatore in ambito criminologico, spesso raccomandato da chi scrive ai propri corsisti nei master di formazione è  il  seguente : Che nulla può essere lasciato al caso, come nulla deve essere trascurato .

L’operazione di collage nella costruzione della ricerca, attraverso tecniche di raccolta dati di tipo sociologico e sociale (quali: l’osservazione, l’intervista, i questionari, i colloqui e le indagini autorilevate) e comparate con le fonti più varie raccolte (quali: i documenti scritti e fonti informali), spesso risulta essere anche la fase più lunga ed interessante.

Perché una ricerca possa considerarsi attendibile da un punto di vista scientifico, essa deve rispondere ai requisiti della rappresentatività e dell’ampiezza; in loro mancanza i risultati ottenuti sono inattendibili

Ciò comporta, pertanto, che nella fase della verificazione e del depuramento dei dati raccolti l’utilizzo di più moderni criteri di elaborazione e di misurazione statistica, che consentano ad ogni ricercatore di calcolare ogni variabilità dipendente ed indipendente.

Unica certezza, in conclusione, nelle scienze criminali, risulta essere  l’ “incertezza” 

Purtroppo non esistono verità assolute in questa scienza ancora in fieri, che ha per oggetto la variabile più incerta che esista: l’uomo. Ma tuttavia, pur non esistendo un metodo ufficiale e comune a tutte le tipologie di ricerca, lo scrivente si augura che con il presente contributo scientifico, relativo ad una metodologia che si è presentata utile nella individuazione, studio e ricerca del fenomeno della criminologia familiare e coniugale, sia stato offerto un piccolo e significativo contributo allo studio della criminologia.

per consultazioni con l’autore: lexmerolla@libero.it

 


La Rete: Ruoli e Competenze degli organi istituzionali e noncoinvolti nel processo dell’affidamento

        La Rete: Ruoli e Competenze degli organi istituzionali e non coinvolti nel processo dell’affidamento –

 Dr.ssa Pasqualina Campagnolo

6.1  La Missione ed i protagonisti;

    1. Il Lavoro di Rete;
    2. Le operazioni ed i livelli del lavoro di rete;
    3. Strategie e strumenti per l’operatore che attiva la rete;

6.1  La Missione ed i protagonisti;

Il diritto a una famiglia è una delle affermazioni più ricorrenti quando si parla di bambini, rendere effettivo questo diritto è la missione di tutti coloro che lavorano nell’ambito dell’affidamento familiare. Il motivo di tale indicazione non è casuale: le conoscenze raggiunte nel campo della psicologia infantile e gli studi sullo sviluppo affettivo indicano con chiarezza che, per crescere bene, un bambino deve poter contare su relazioni affettive intense e privilegiate, che lo facciano sentire  importante e gli diano un forte senso di appartenenza. E’ chiaro, quindi, quanto sia importante per tutti i bambini poter contare sulla vicinanza di adulti disponibili e capaci di offrire affetto e vicinanza emotiva e come ciò sia realizzabile nel contesto familiare.

L’affidamento familiare appunto si delinea come strumento di aiuto e sostegno ad un bambino/a che proviene da una famiglia temporaneamente in difficoltà e per questo non è nella condizione di  occuparsi della educazione e delle necessità materiali ed affettive del proprio figlio. L’affido è un intervento “a termine” e dura il tempo necessario per recuperare la famiglia di origine, con la quale il bambino mantiene un legame e dove, prima o poi, rientrerà. L’affido può essere: consensuale, quando i genitori concordano con il provvedimento; giudiziale, quando non vi è il consenso dei genitori e l’affido è decretato dal tribunale per i minorenni.

L’affido si prospetta come un intervento complesso poiché molteplici sono i suoi protagonisti:

  • Il minore,
  • La famiglia di origine ;
  • La famiglia affidataria;.

    Altrettanto  numerosi sono i soggetti che rendono possibile l’affido.  La legge  prescrive che l’affido sia disposto dal servizio sociale locale. Qualora vi sia ilconsenso manifestato dai genitori o, comunque dal soggetto esercente la potestà genitoriale, il provvedimento è reso esecutivo con decreto dal giudice tutelare del luogo ove si trova il minore, mentre se fosse assente l’assenso dei genitori è  competenza del tribunale per i minorenni rendere esecutivo il provvedimento.

    Il decreto di esecuzione del provvedimento di affidamento familiare è un documento  importante poiché, oltre ad indicare le motivazioni dell’affido e a regolare i rapporti tra genitori e gli altri componenti il nucleo familiare d’origine con il minore nonché i tempi e i modi dell’esercizio dei poteri riconosciuti all’affidatario, individua, anche, i servizi sociali responsabili del programma di assistenza e della vigilanza dell’affidamento. Questi ultimi sono obbligati ad aggiornare costantemente il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni, a seconda che si tratti di un affido consensuale o giudiziario, circa ogni evento di particolare rilevanza ed è tenuto a presentare una relazione semestrale sull’andamento del programma di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull’evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.

Pertanto nel percorso di affido, oltre alla rete di “fronteggiamento naturale”, entrano in campo un insieme di logiche, di strategie, di sensibilità di skills, di capabilities  che sviluppano tante azioni che dovrebbero confluire verso il medesimo obiettivo: garantire il benessere al minore e agevolarne il ritorno nella propria famiglia. In tale ambito un ruolo centrale è svolto dagli operatori dell’ente locale che contribuiscono alla progettazione nonché alla realizzazione del programma di intervento.

Considerando la pluralità dei soggetti nell’affido familiare, affinché il processo di aiuto sottostante l’affido non diventi un percorso frammentato caratterizzato da singoli interventi, slegato l’uno dall’altro,  diviene essenziale attivare il lavoro di rete. A nostro avviso per rendere concreto il lavoro di rete tra gli operatori coinvolti un ruolo fondamentale è  svolto dall’assistente sociale che segue e supporta l’affido.

 6.2 Il lavoro di rete

In un’ottica sistemico relazionale, il programma  di assistenza a cui fa riferimento l’art. 4 della l. 184/83 e le sue successive modifiche per essere valido deve contestualizzare gli interventi nel senso che non vi sono programmi di affido validi per tutti. Dunque, l’operatore deve tener conto che il minore non è un’isola ma è parte di un sistema con cui interagisce: scuola, enti non profit, istituzioni varie, parenti ed amici così come la sua famiglia di origine è parte integrante di un sistema di relazioni formali ed informali. Pertanto, di fronte alla situazione patologica, ovviamente non si vede solo il minore come portatore del  “problema”, ma, l’operatore, nella fattispecie l’assistente sociale, percepisce tutti gli attori che a diverso titolo si sono occupati del minore stesso e della sua famiglia, intraprendendo percorsi di aiuto.

Solo pensando in modo superficiale, possiamo pensare che  in un percorso di affido ci sia una sola persona che «detiene il problema» e che avrebbe interesse a lottare per venirne fuori. Dentro al problema e rispetto alla dinamica di soluzione imperniata sullo strumento dell’affido familiare ci sono sempre varie persone, persone comuni e operatori, tutti tesi risolvere il problema.

Schematizzando è possibile definire, alcune strategie di lavoro di rete da adottare nei percorsi di affido familiare:

  • Supporto alle reti esistenti: questa accezione è intesa come operazione di aiuto a chi aiuta: dare supporto alla rete di fronteggiamento che si è costituita naturalmente. Laddove i legami affettivi ci sono e sono in qualche modo stabili (quali sono in gran parte le relazioni nel contesto delle reti primarie familiari o parentali) l’operatore può agire nel rendere più probabile la continuità di queste relazioni, introducendo supporti esterni o tentando di migliorarne la qualità. In questo ambito i servizi possono essere vari ed alcuni anche del tutto tradizionali: l’inserimento mirato nelle famiglie di origine del minore di tutor  per servizi pratici o supporto emozionale, il counseling, l’assistenza domiciliare formale.
  • Attivazione e coordinamento di reti “a breve” per la soluzione di problemi specifici: in questa accezione, il lavoro di rete si concretizza nel tessere attorno ad un problema “circoscritto” (azioni straordinarie o, che comunque, investono porzioni temporalmente limitate della vita delle persone coinvolte) un reticolo di connessioni, collegando una pluralità di fonti, affinché si attivino le forze necessarie per la soluzione del  problema. In questi casi la base primaria nella gestione delle situazioni problematiche deve essere individuata nella famiglia e il ruolo dell’operatore è quello di coordinatore.
  • Attivazione di reti stabili a lungo periodo: alcuni tipi di problemi possono, invece,  richiedere lo sviluppo di reti più complesse che siano più ampie e, temporalmente, più stabili. Questo tipo di reti è necessario quando il problema è dato dal ricostruire il proprio stile di vita (ad esempio, genitori con problemi di alcolismo, tossicodipendenza, ecc.). Queste reti devono, per essere efficaci, devono essere in grado di assicurare risposte o soluzioni personali. La rete a lungo termine deve essere omogenea, ma anche prevedere fasi differenziate a cui la persona può accedere progressivamente. In questo senso si parla anche di queste reti come di programmi a fasi progressive.

 6.3 Le operazioni e i livelli del lavoro di rete 

Naturalmente, gli interventi di rete sono da collocare a differenti livelli, anche se, quando la rete si sviluppa nella realtà, questi livelli tendono continuamente a sovrapporsi. Possiamo differenziare ciascun livello focalizzando l’attenzione sui collegamenti o legami che possono maturare fra i seguenti attori:

  • Fra la persona e i suoi altri significativi;
  • Fra operatori all’interno dello stesso servizio, con diversa estrazione professionale: per organizzare una strategia di aiuto coerente  e anche per tentare di rispondere all’esigenza connaturata in ciascun operatore di operare in un ambiente umano supportivo con cui confrontarsi.
  • Fra operatori di servizi diversi: per assicurare un miglior coordinamento fra servizi: ente locale, asl, Tribunale per i minorenni, ecc. La conoscenza reciproca, la predisposizione di regole comuni, il raccordo per la gestione di casi comuni, lo scambio di esperienze e competenze potrebbero essere elementi indispensabili per l’avvio di un lavoro di rete fra istituzioni.

6.4 Strategie e strumenti per l’operatore che attiva la rete

Si propongono alcuni spunti e suggerimenti per una efficiente progettazione e realizzazione dell’intervento di rete nell’affido familiare.

Le reti sono sistemi complessi, costituite alla base da entità capaci di cooperare con gli altri e di interpretare gli eventi esterni; queste entità devono essere connesse fra loro attraverso le regole e le pratiche della cooperazione, le informazioni formalizzate, le comunicazioni di ogni genere.

L’intervento dell’operatore, attivatore della rete, deve essere mirato a costruire intorno all’affido un reticolo di interconnessioni e comunicazioni affinché queste attivino le procedure di risoluzione del problema.

 La mappatura della rete.

Essenziale all’intervento è l’analisi concreta della rete che può essere tracciata attraverso la creazione di una mappa che delinei l’intensità dei legami interpersonali. La scheda di valutazione riportata in fig. 1 può essere riempita dall’operatore insieme con l’utente e in particolare si propone di valutare, rispetto ai singoli collegamenti, il tipo di relazione che intercorre fra l’utente e le persone da coinvolgere; una volta conclusa l’operazione di stesura della scheda di valutazione del network, l’operatore e l’utente cercano di individuare nella lista quali soggetti possono essere coinvolti e in che modo possono fornire l’aiuto. Successivamente l’operatore contatta le persone prescelte e, attraverso un colloquio mirato, decide se queste siano effettivamente in grado di collaborare.

 

fig. 1 (Adattamento da L. Maguire, Il lavoro sociale di rete, )

 Nome,
Indirizzo,
Telefono
Relazione (parente, amico, vicino, ecc.) Disponibilità all’aiuto
(alta, media, bassa)
Capacità
sociale/
emozionale
Risorse Frequenza di contatti
(quotidiani,settimanali, ecc.)
Intensità
(grado di affetto e sostegno)
Durata della relazione
(1 mese,
1 anno, ecc.)
1.

 

             
2.

 

             
3.

 

             
4.

 

             

La carta di rete

 Una seconda attività utile a fornire un supporto alla mappatura della rete e che può essere facilmente integrata con la scheda di valutazione è la stesura delle carte di rete; queste consistono nel visualizzare il network rappresentando in un grafico a zone concentriche i legami e i collegamenti dell’utente con la sua rete. Si procede ponendo al centro del grafico il bambino, soggetto che necessita del supporto (ego) e nodo fondamentale della rete; a partire da quest’ultimo si tracciano una serie di cerchi concentrici che vengono poi suddivisi in cinque settori che rappresentano le aree di influenza: i vicini di casa, i familiari, gli amici, gli operatori sociali ecc.; l’utente, con l’aiuto dell’operatore, dispone negli spazi (incominciando da quello più vicino al centro e per ciascuna sfera di influenza) le persone in funzione della loro vicinanza affettiva. Infine, tracciando delle linee, si collegano tutti i soggetti che fra di loro si conoscono. Nella fig. 2 è riprodotto lo schema esemplificativo che può essere utilizzato per la realizzazione di questa attività.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 


 Fig. 2 esempio di carta di rete

 

 

Gli incontri.

L’operatore insieme con l’utente stabilisce il luogo dove si svolgeranno gli incontri con gli altri membri della rete.

E’ di fondamentale importanza mantenere una costanza ed un ritmo preciso nello svolgimento degli incontri, anche perché ciò contribuisce a creare delle abitudini e ad instaurare un clima di fiducia reciproca nel gruppo.

 Il diario di bordo.

E’ uno strumento personale di lavoro dell’operatore. Di volta in volta egli può annotare nel diario le impressioni, le osservazioni, le relazioni, gli aspetti tecnici e organizzativi, i tempi e le sequenze operative, le aree di intervento, i risultati acquisiti, le difficoltà e gli aspetti problematici, le osservazioni valutative e quanto altro risulta utile alla riflessione sull’intervento e alla formulazione di ipotesi di lavoro.

Il diagramma ad albero.

Il diagramma ad albero può essere utilizzato durante gli incontri di rete per la programmazione degli interventi finalizzati alla risoluzione di un problema specifico. Attraverso il diagramma, infatti, è possibile stabilire cosa è necessario fare per raggiungere un obiettivo a medio/lungo termine, tradurre i bisogni dell’utente in caratteristiche che possono essere controllate, gestite, valutate e, infine, procedere in modo graduale, considerando i passaggi intermedi necessari alla realizzazione degli obiettivi.

Il diagramma ad albero disegna sistematicamente lo spettro dei percorsi e dei compiti da attuare per raggiungere un obiettivo primario, descrivendo contemporaneamente tutti gli obiettivi di ordine inferiore. Con il diagramma ad albero si individuano i procedimenti e le metodologie più appropriate per conseguire gli obiettivi prefissati, chiarendo, inoltre, tutte le condizioni intermedie che devono essere soddisfatte per raggiungere l’obiettivo.

Il diagramma ad albero è una rappresentazione grafica (vedi fig. 3) che si sviluppa orizzontalmente da sinistra verso destra e si svolge attraverso cinque fasi:

  1. la preparazione del materiale;
  2. la composizione del gruppo di lavoro;
  3. la definizione degli obiettivi;
  4. la definizione dei rami del diagramma;
  5. il completamento dell’analisi.

Conclusa la costruzione del diagramma è opportuno svolgere una verifica sulla sequenzialità delle azioni. Per essere certi che non vi siano salti logici o incoerenze tra un livello e l’altro, è necessario ripercorrere a ritroso il diagramma, a partire dall’ultimo livello individuato.

 


 

 

Obiettivo

 

 

 

 

Azioni prioritarie

 

 

 

 

Obiettivi intermedi

 

 

 

 

Ricostruzione del sé del minore

 

 

 

 

benessere del minore

 

 

Fig. 3 diagramma ad albero

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

Fabio Folgheraiter, Territorio e lavoro di comunità, CLEP Editrice – Padova 2000

L. Maguire, Il lavoro sociale di rete Erickson, Trento, 1987.

Monika Linser, il lavoro di rete con un nucleo in difficoltà, in Lavoro Sociale , Erickson  –  Settembre 2002

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


ASPETTI PROBLEMATICI DELLA RELAZIONE FAMIGLIA AFFIDATARIA – MINORE – FAMIGLIA D’ORIGINE.

ASPETTI PROBLEMATICI

DELLA RELAZIONE FAMIGLIA AFFIDATARIA – MINORE – FAMIGLIA D’ORIGINE.

Di   Castro Luiza *

5.1  La relazione minore e famiglia affidataria;

5.2  Situazioni frequenti;

5.3  Problematica dell’Affido;

5.4  Gli operatori e la Famiglia Naturale;

 

 

5.1  La relazione minore e famiglia affidataria;

 

Oggi parleremo dell’inclusione di un nuovo membro in una famiglia, cercando in questo caso di comprenderne il significato in termini di relazioni.

Una famiglia che si propone per l’affidamento familiare è una famiglia che, in previsione di un cambiamento che si sta attuando nel proprio sistema familiare (ad esempio può essere il passaggio da uno stadio del ciclo vitale ad un altro,  lo svincolo di un figlio adolescente, o comunque una nuova consapevolezza sulle proprie capacità e sui propri desideri), ipotizza che l’inserimento di un minore sia l’elemento in grado di garantire stabilità o comunque un equilibrio nuovo più funzionale. E’ questo dunque un gioco familiare di per sé non patologico, che và però attentamente valutato.

I quesiti che ci poniamo a tutte le famiglie che si candidano all’affido è il seguenti:

  • “Come mai una famiglia decide di concretizzare un affido, anziché scegliere un’altra modalità di impegno sociale”?
  • “Perché proprio ora”?
  • “Cosa attende la famiglia dall’inclusione di un nuovo membro, che non è un figlio biologico, che sarà ospitato solo temporaneamente, che la porrà in stretto contatto con un’altra famiglia e con un servizio socio-sanitario”? 

    Chiarire queste motivazioni è importante per lo svolgimento di tutto l’affidamento familiare.

    Inoltre, è importante valutare al momento della selezione che la trasformazione che la famiglia vuole effettuare e il bisogno che vuole colmare siano comunque minori della capacità di soddisfare le esigenze di un bambino.

    Dall’esperienza acquisita da parte degli operatori del settore si è potuto rilevare una correlazione significativa tra alcuni eventi della storia personale, familiare e la disponibilità all’affido e la sua riuscita:

  • Famiglie dove un componente (marito o moglie) hanno avuto un’esperienza infantile di istituzionalizzazione, che produce un’attivazione dell’area motivazionale, relativa al bisogno di risarcimento per le proprie pregresse esperienze di deprivazione, attraverso il meccanismo dell’identificazione proiettiva sul minore “fantasticato”.
  • Famiglie dove si sono verificati casi come: interruzione di gravidanza, di sterilità e di lutti per la morte di figli propri, cercano nell’affido un modo per colmare i sensi di colpa, di riparazione, di compensazione e in più in generale di colmare un vuoto affettivo. 

Infine possiamo trovarci di fronte una persona sola, che non ha un compagno e non intende rinunciare al proprio desiderio di maternità o paternità.

Abbiamo a che fare, comunque in tutte queste situazioni con motivazioni più o meno dichiaratamente adottive: un criterio rigoroso imporrebbe di non utilizzare queste famiglie per l’affido, indirizzandole a presentare domanda di adozione.

E’ importante che l’aspirazione ad avere un figlio sia condivisa in egual misura dai due partner.

Particolare attenzione va invece riservata alle copie in cui solo uno dei due appare intenzionato a giocare la mossa del figlio( per dare un nipote ai propri genitori, per trattenere il coniuge in casa, per compensarlo della propria sterilità, ecc.)

Sul piano operativo che possibilità abbiamo (noi operatori) se il bambino affidato si troverà in una situazione favorevole al suo sviluppo e al suo benessere o viceversa verrà catapultato di nuovo in una condizione di disagio?

E’ importante che l’operatore durante il colloquio cerchi di indagare quali sono i veri motivi della domanda di affido.

E’ importante cercare di scoprire se tale famiglia vuole soltanto risolvere i propri problemi personali e in questo modo utilizza il bambino come “strumento” o se la famiglia ha inoltrato domanda d’affido perché vuole veramente aiutare un minore, perché esiste tra i membri della famiglia una consapevolezza della problematica sociale e spirito di  solidarietà.

L’operatore durante il colloquio dovrebbe indagare su tutta la famiglia e pretendere di conoscere tutti i suoi membri e ad ognuno spiegare bene che cos’è l’affido e quali possono essere le difficoltà soprattutto all’inizio.

Voglio dire, che l’operatore durante il colloquio non deve avere un comportamento diffidente verso la famiglia affidataria, come se quest’ultima avrebbe dovuto avere per forza una motivazione nascosta dietro una facciata della disponibilità.

Di solito la famiglia affidataria si presenta con tutti i suoi componenti in condizioni di benessere psichico e di relativa soddisfazione, senza seri problemi di carattere personali o familiare.

In ogni modo è importante valutare bene i motivi per cui una famiglia desidera prendere un bambino in affido.

Troppo spesso si procede all’affido basandosi su caratteristiche estremamente generiche della famiglia affidataria. Essa sembra offrire delle garanzie di adeguatezza solo in quanto disponibile, motivata, educativamente capace con i propri figli, priva di problemi al proprio interno (e magari portatrice di valori che l’operatore condivide).

A una prassi di questo tipo potranno corrispondere purtroppo l’uno o altro dei seguenti effetti indesiderati, ossia, possiamo trovarci davanti famiglie che conscia o inconsciamente si comporteranno nel seguente modo:

 

  • Consentire l’appropriazione del minore:

A volte l’operatore non riesce as individuare preventivamente una forte tendenza, nel gioco familiare, ossia l’appropriazione del minore. E ciò può portarlo a sottovalutare il rischio che gli affidatari adoperino per indebolire il legame tra il bambino e la famiglia naturale.

La famiglia affidataria è una famiglia che ha delle risorse, è una famiglia che ha delle capacità ed è difficile per essa non sentirsi una famiglia “buona” nei confronti di un’altra tanto diversa.

Il pericolo che in questo momento si può evidenziare è quello di una rivalità tra le due famiglie perché l’una ha la sensazione di essere brava, mentre l’altra ha comunque la sensazione anche fondata di essere incapace, di non essere adatta.

Ovviamente il bambino risentirà di questo eventuale dissidio.

 

  • Conflitti Coniugali 

    Aspettativa di risolvere la precarietà dell’unione familiare attraverso l’esperienza di inserimento nel proprio nucleo di un elemento esterno come fattore di cambiamento, stabilizzante o distrutturante, in funzione del gioco familiare in atto.

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

    5.2  Situazioni frequenti;

     

     

  • Sostituire un figlio che accenna ad emanciparsi o frenarlo 

    Una motivazione molto spesso riferita dalle coppie di mezza età che si candidano all’affido è che ora che i figli sono cresciuti hanno del tempo libero, un vuoto da riempire, e volentieri si occuperebbero di un altro bambino.

    Può succedere che alcuni genitori non avendo ancora accettato il distacco del figlio dalla famiglia cerchino di ingelosire (per es. la figlia sposata) collocando nella sua stanza non ancora “disfatta” una adolescente ricevuta in affido.

    Un caso curioso, ma non del tutto eccezionale, in cui a spingere la richiesta d’affido è uno dei figli (solitamente una figlia) ancora convivente con i suoi.

    La richiesta può essere progettata dalla figlia con lo scopo di non essere più il centro della attenzione e in questo modo potrà godere di maggior libertà.

    Ad es: rendere meno contrastata le sue uscite e gli orari.

     

     

    – Coppie senza figli

     

    Nelle coppie senza figli si è osservato il bisogno di evoluzione della coppia stessa verso una dimensione di tipo familiare, nella quale esercitare funzioni genitoriali a conferma della propria adeguatezza non ancora sperimentata.

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

5.3 LA PROBLEMATICA  DELL’AFFIDO

 

  1. Il momento dell’inserimento del minore 

     

    E’, ovviamente un elemento nuovo che viene inserito nella famiglia provocando un cambiamento.

    Per di più la famiglia in qualche modo ipotizza che con l’inserimento di un minore avvenga una positiva trasformazione; ci possiamo trovare di fronte ad uno scollamento tra le fantasie della famiglia affidataria e l’inserimento del minore che porterà invece una realtà diversa, oggettivamente difficile, che comporta dei problemi rilevanti.

    La famiglia affidataria è chiamata a gestire una serie di rapporti nuovi che iniziano che sono sia all’interno di essa, fra i vari membri, sia all’esterno.

    Pensiamo al rapporto con i vicini o con i parenti, lo stesso inserimento scolastico in una struttura nuova.

    Inoltre, il bambino al momento dell’inserimento può presentare delle reazioni diverse. Possono essere di aggressività (in realtà spesso il bambino sta dimostrando la sua lealtà alla famiglia di origine) oppure un comportamento eccessivamente accettante o passivo.

    Il bambino sta in questo modo dimostrando comunque le sue difficoltà.

     

  1. L’esercizio di determinati ruoli affettivi ed educativi da parte delle famiglie affidatarie 

    La coppia si trova di fronte a un paradosso: essere una famiglia, svolgere i ruoli di padre e madre di quel bambino perché lo devono aiutare, sostenere, amare, educare, ma non essere i suoi genitori, essere cioè operatori volontari.

    La stessa educazione pone delle difficoltà: l’accettare ed educare un bambino che non è cresciuto nella nostra famiglia non è un compito facile, perché dobbiamo comunque rispettare ed anche integrare in maniera delicata e graduale tutte le acquisizioni che il bambino aveva fatto precedentemente, dobbiamo amalgamare alle regole che sono invece già presenti nella famiglia affidataria.

     

     

  2. Il compito della famiglia affidataria 

    E’ compito della famiglia salvaguardare nell’immaginario del minore quanto c’è di positivo nella famiglia di origine.

Sovente però questi bambini sono “difficile”, in funzione delle loro storie e della loro età per cui può essere altrettanto difficile una risposta. Soprattutto tenendo conto che l’inserimento di un nuovo bambino, non proprio, in una famiglia, mette in gioco i loro rapporti già esistenti, le loro certezze, il loro vissuto personale e la loro affettività.

Si può giungere cosi, essendo coinvolti emotivamente, a correre il rischio di voler difendere a tutti i costi il bambino anche contro la famiglia di origine vista come elemento di pericolo per il minore (quante volte la famiglia affidataria ritiene mai giunto il momento del reinserimento).

 

  1. Il momento del distacco 

    E, qui si parla di una perdita sia da parte della famiglia affidataria, sia da parte del minore; la famiglia ha esercitato delle funzioni precise, si è comportata come genitori, ora si trova a dover lasciare il bambino con la paura che non possa star bene, che possa ripiombare in una realtà come quella precedente,ecc…

In questa fase è importante avere un supporto, ossia l’aver seguito un programma preciso da parte dei servizi, un programma che coinvolga anche la famiglia affidataria, la metta al corrente degli sviluppi, dei miglioramenti della famiglia d’origine, e tanto più i rapporti durante l’affidamento tra le due famiglie sono stati positivi tanto più è possibile, e noi ce la auguriamo sempre, che la famiglia affidataria rimanga nel tempo una famiglia d’appoggio, nel senso che può ancora occuparsi del bambino, portarlo in vacanza…, conservare un rapporto parentale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

5.4 Gli Operatori e la Famiglia Naturale

 

 

Quando siamo chiamati a intervenire su un nucleo familiare disagiato, problematico, lo dobbiamo fare con la massima professionalità, anche quando verifichiamo la negatività di tale famiglia, anche quando sappiamo che i bambini per loro non sono altro che elementi da sfruttare, senza avere la minima preoccupazione, il minimo scrupolo.

Quante volte in momenti di sconforti abbiamo detto:” lasciamoli perdere, non si meritano il minimo aiuto, dobbiamo pensare solo alla tutela dei minori.”

Invece, dobbiamo cercare di aiutare questa famiglia, anche se sappiamo a priori che sarà tutto inutile, perché sono persone che rifiutano qualsiasi tipo di aiuto.

Prima di tutto dobbiamo allontanare i bambini e trovarli una sistemazione adeguata. Dopodiché cercheremo di creare una rete di aiuto a questa famiglia, pensando nella possibilità di riabilitarli, e di poterli fare riavere i propri figli e di essere in grado di continuare sulla “buona strada”.

Anche davanti a tali situazioni dobbiamo avere un atteggiamento empatico, non troppo critico, a fine di guadagnare la loro fiducia, altrimenti si rischierebbe di perderli.

Quando la famiglia naturale è una famiglia perbene, che si é trovata  ad affidare i propri figli solamente perché hà problemi di carattere economici, per motivi di salute di uno dei coniugi, ecc…, questa è una famiglia che merita tutto il nostro rispetto e affetto e cercheremo di fare anche l’impossibile per aiutarla.

Si creerà tra gli operatori e questa famiglia un rapporto solidale, di amicizia. E, questo tipo di rapporto aiuterà questa famiglia ad avere fiducia nel suo futuro, a non sentirsi cosi fragile, cosi incapace.

L’operatore non deve assolutamente sentirsi superiore soltanto perché  possiede un titolo, una laurea.

Deve avere la capacità di ascoltare e di sapere rivolgersi a queste persone con umiltà, utilizzando la sua autorità solo in caso di necessità.     

 

 

 


Strumenti metodologici e tecnici per la selezione della famiglia affidataria la gestione dei casi di affido familiare

Strumenti metodologici e tecnici per la selezione della famiglia affidataria  la gestione dei casi di affido familiare

 di Ignarra Graziana*.

(relazione tratta dal Corso di Formazione per Operatori sull’Affido familiare realizzato nell’ambito territoriale B4 ex.L.285/97)

 

4.1. TIPOLOGIE DELL’AFFIDAMENTO FAMILIARE

 

E’ possibile realizzare una classificazione e distinzione fra le molteplici modalità in cui può essere realizzato un affidamento familiare. L’affidamento familiare di distingue in base alla durata temporale in:

 

  • affidamento familiare a tempo parziale, quando l’inserimento in un altro nucleo familiare è previsto per alcuni giorni della settimana, per alcune ore del giorno (affido diurno) o per brevi periodi di tempo (es. vacanze). Tale tipologia di affidamento si inserisce prevalentemente in un regime di consensualità dei genitori ed è indicato quando, nella famiglia d’origine, non sussistono fattori di rischio per lo sviluppo del bambino/a tali da richiedere un allontanamento a tempo pieno.

     

  • affidamento familiare residenziale o a tempo pieno, nei casi in cui l’inserimento del minore in una famiglia affidataria ha carattere di continuità e residenzialità. I contatti, e le relative modalità, con la famiglia d’origine sono definiti dal Servizio Sociale o prescritti dall’Autorità Giudiziaria, se non vige il regime di consensualità. Può essere a breve medio e lungo termine.

     

Altra distinzione è realizzabile tenendo conto delle “funzioni” svolte da un affidamento:

  • affidamento educativo che risponde all’obiettivo di dare al minore l’opportunità di vivere in un ambiente familiare “facilitante”, in modo da evitare che il bambino/a sia coinvolto in dinamiche familiari conflittuali o improntate da marginalizzazione. E’ il più comune.

     

  • affidamento terapeutico – riparativo, rivolto ai minori che, nella propria famiglia, sono stati vittime di trascuratezza, maltrattamento fisico e/o psicologico, o abusi tali da compromettere la propria personalità e il proprio sviluppo. In tali casi c’è bisogno di un intervento qualificato e mirato che permetta loro di “metabolizzare” il danno subìto.

     

  • affidamento terapeutico – nutritivo, rivolto specificamente ai minori insufficientemente accuditi e ipostimolati che hanno vissuto in situazioni di trascuratezza tali da comportare una passivizzazione ed un insufficiente maturazione affettiva – cognitiva. In tali casi i minori necessitano di relazioni affettive “calde” e stimolanti.

     

    Fondamentale è realizzare un’approfondita indagine conoscitiva sui principali attori coinvolti nel processo dell’affidamento familiare, ossia la famiglia affidataria, la famiglia d’origine e il minore.

     

     

4.2 La famiglia affidataria: INDAGINE PRELIMINARE

 

E’ necessario compiere un’accurata analisi e valutazione dei requisiti della famiglia che si candida all’affidamento per poter attuare un intervento mirato, poiché bisogna formulare per ogni singola famiglia aspirante una specifica ipotesi che consenta di procedere al successivo abbinamento tra tale famiglia e “quel” bambino, con una prognosi il più possibile favorevole.

 

I rischi  di un’errata analisi e valutazione  della famiglia affidataria sono:

  • · Tendenza della famiglia affidataria ad indebolire il legame tra il bambino/a e la famiglia d’origine.
  • · Utilizzo del bambino/a in affido per sanare crisi familiari latenti.
  • · Attivazione di una competizione tra affidatari e operatori.
  • · Aumento della patologia del minore affidato.
  • · Motivazione della famiglia affidataria connotata da interessi economici.
  • · Realizzazione di un affidamento per seguire “tendenza modaiola” di amici o conoscenti.

 

 

Per una corretta valutazione d’idoneità è dunque fondamentale svolgere un’indagine preliminare per acquisire gli elementi necessari. Tale indagine deve concentrarsi sulle seguenti aree specifiche:

  • Raccolta di dati oggettivi inerenti al nucleo che si propone;
  • Verifica delle risorse e delle capacità educative e contenitive del nucleo;
  • Costruzione, in èquipe se possibile, di un’ipotesi relazionale circa la reale disponibilità all’affidamento;
  • Definizione di un quadro delle possibili dinamiche relazionali interne al nucleo;
  • Chiarimento di tutti i possibili aspetti dell’affidamento, compresi quelli problematici.

     

    Da individuare precocemente, anche se saranno gestite in itinere, sono le seguenti aree:

  • Individuazione precoce della stigmatizzazione della famiglia d’origine;
  • Capacità di tollerare una crescita lenta della famiglia d’origine;
  • Atteggiamento di sfiducia/fiducia verso gli operatori che sostengono la famiglia d’origine;
  • Interesse reale al rientro del bambino/a in famiglia;
  • Atteggiamento di fiducia/sfiducia nella capacità di cambiamento della famiglia d’origine.

     

    La fase della selezione si conclude con la formulazione di un’ipotesi di abbinamento fra il bambino/a e la famiglia affidataria. Gli operatori sono consapevoli che non si sta cercando la famiglia perfetta, ma quella in cui può maturare la personalità di un determinato bambino nel riconoscimento e nel rispetto del suo vissuto e della sua famiglia d’origine.

     

4.3     La famiglia naturale:

diagnosi e natura della crisi e recuperabilita’ della famiglia

 

Rispetto alla famiglia d’origine del minore le tappe nelle quali si articola il rapporto tra gli operatori e la famiglia in crisi sono schematicamente le seguenti:

  1. rilevazione del disagio;
  2. formulazione di una diagnosi e di una prognosi;
  3. collocazione dell’affido all’interno di un progetto di recupero della famiglia;
  4. intervento mirato alla rottura del gioco patogeno.

     

    a) Per progettare correttamente un affido gli operatori devono avere chiara la relazione da instaurare con la famiglia, ossia se l’intervento inizia in un contesto di controllo oppure in un contesto di aiuto, anche se elementi di controllo si mescolano con elementi di aiuto.

     

    b) Alla diagnosi sulla natura della crisi familiare deve corrispondere una prognosi favorevole sulla recuperabilità della famiglia. L’affido ha significato solo se si è individuato:

  • l’origine del disagio in cui si trova il minore;
  • gli elementi prognostici che fanno ritenere possibile il superamento degli elementi patogeni;
  • le appropriate risorse ed operatori necessari a supportare il cambiamento desiderato;
  • le strutture e gli operatori che controlleranno il rientro in famiglia del minore;
  • il periodo di tempo presumibilmente sufficiente per raggiungere il cambiamento stesso.

     

c) L’affido è parte di un più ampio processo di recupero di una famiglia mediante l’arricchimento delle interazioni familiari con altri sistemi sociali. Implica il superamento della chiusura all’ambiente esterno, tipica della famiglia socialmente problematica che non formula alcuna domanda di cambiamento reale, che può rivelarsi fecondo di risultati positivi.

 

d) E’ da considerare che la famiglia problematica nega e tenta di coprire ogni traccia di disagio o conflitto a cui gli operatori potrebbero far riferimento per mettere in atto interventi specifici, precludendosi automaticamente la possibilità di essere aiutata. 

Alla famiglia d’origine verrà sottoposto il programma di recupero che, ove possibile, sarà il risultato della collaborazione e del consapevole bisogno di aiuto dei componenti familiari. Tutti i componenti familiari saranno spronati ad essere elemento attivo e fondamentale del processo di aiuto in modo da superare anche eventuali sensi di inferiorità rispetto alla famiglia affidataria. Rafforzando le capacità genitoriale ed elogiando eventuali passi in avanti, si avranno ripercussioni positive anche nelle razioni con la famiglia affidataria. 

 

4.4 IL MINORE: PROGETTO DI AFFIDAMENTO;

 

Il progetto di affidamento deve essere condotto nel rispetto della storia del bambino/a  al fine di garantirgli la possibilità di ricostruire ed elaborare gli avvenimenti. Una ricerca canadese sul follow-up di duecento casi di affido denuncia l’insufficiente appoggio psicologico dato al bambino prima del trauma dell’allontanamento. E’ dunque di fondamentale importanza preparare il bambino fornendogli delle informazioni e spiegazioni chiare sui motivi del distacco dalla sua famiglia, sulle modalità del successivo inserimento in un altro nucleo, sugli operatori coinvolti e le loro funzioni per aiutarlo a chiarire dubbi e sentimenti contraddittori.

Al fine di motivare il bambino al cambiamento, decolpevolizzarlo e riposizionarlo nel suo ruolo occorre:

  • strutturare modalità e strumenti per trasmettere tali informazioni in base all’età e ai bisogni del minore;
  • graduare, ove possibile, l’inserimento del bambino/a nel nuovo nucleo;
  • rispettare la sua famiglia, la sua storia e la sua cultura.

    E’ inoltre estremamente necessario che il bambino/a riceva ulteriori informazioni dai genitori, possibilmente indirizzati correttamente dagli operatori. In questo modo il bambino/a porterà con sé un bagaglio di informazioni utili anche nella relazione con futuri compagni di scuola a cui ricorrere con sufficiente disinvoltura. Il bambino/a porterà con sé i suoi vestiti e i suoi giochi, pur lasciando qualcosa a casa propria come segno tangibile del progetto di rientro.

     

Fondamentale per il buon esito di un affidamento è l’abbinamento tra minore e famiglia affidataria.  

L’abbinamento corretto tra minore e famiglia affidataria è un momento qualificante connesso con l’aiuto della famiglia originaria e l’analisi delle risorse impiegabili per il sostegno.

Gli indicatori fondamentali da considerare sono:

  • la corrispondenza tra  caratteristiche oggettive della famiglia affidataria e dello specifico bambino rispetto al progetto da attuare;
  • l’inserimento del bambino nel nucleo affidatario con una risoluzione presumibilmente positiva per entrambi;
  • la valutazione della complementarietà tra la disponibilità della famiglia affidataria a rispettare e comprendere i bisogni del bambino e l’opinione dello stesso rispetto all’affido.

     

I possibili rischi connessi all’abbinamento tra minore e famiglia affidataria possono essere evitati non tanto scartando le famiglie che presentano determinate dinamiche, ma avendole presenti e cercando di inserirvi un minore che ne possa beneficiare.

 

Tale procedimento è solo il passo iniziale di un articolato programma di intervento, poiché l’inizio dell’affidamento implica la programmazione e l’implementazione di nuove modalità operative volte a sostenere i protagonisti del progetto nel superare le inevitabili difficoltà che tale cambiamento comporta. Oltre ciò gli operatori attueranno degli interventi mirati ad un monitoraggio costante dell’affidamento per apportare le necessarie modifiche affinché tutti gli attori coinvolti possano beneficiarne.